Un’immagine, alle volte, è più esplicativa di mille parole. E proprio l’immagine di una riunione (nonostante le restrizioni dovute all'”epidemia” di Coronavirus) tenutasi, purtroppo, nella mia città natale, Roma, la città “eterna” (lo sarà ancora a lungo? Speriamo!), di una massa considerevole di decerebrati, ops, pardon, volevo dire giovani benintenzionati, mi ha ispirato questo post.
L’immagine in questione, o meglio il filmato, è quello che trovate qui in calce dove, appunto a piazza del Popolo, migliaia di giovani si sono “spintaneamente” radunati per gridare il loro sdegno per quanto accaduto a George Perry Floyd, uomo di colore (quale?), come si usa dire al giorno d’oggi (perché nero, o peggio ancora negro – termine derivante dal latino nĭger – sembra che sia diventato politicamente “non corretto” da utilizzare), ucciso da un poliziotto, anche questo di colore (bianco. In questo caso il colore non è offensivo), nella città statunitense di Minneapolis, in Minnesota. Con questa ironica (s’era capito?) distinzione non intendo dire che non vi sia discriminazione razziale (in questo caso il termine razza lo si può usare, secondo i benpensanti), ma che un criminale è tale a prescindere dal colore della pelle.

C’era una volta l’uomo nero
Il punto è proprio questo: la discriminazione razziale c’era anche ai tempi del tanto venerato Barach Obama, il Presidente “democratico”, quello del Premio Nobel per la pace per capirci (il fatto che, dopo aver ricevuto il riconoscimento internazionale, abbia fatto ben 7 guerre in giro per il mondo è del tutto marginale, s’intende). Omicidi da parte di bianchi, poliziotti o no, nei confronti dei neri ce n’erano in abbondanza anche allora (come ce ne sono stati praticamente da sempre nella storia degli Stati Uniti e non solo). Anzi, se volessimo fare una conta dei morti, il picco si registrò nel 2015, quando a capo della Casa Bianca c’era il “nero” Obama. A questo aggiungiamoci il fatto che il sindaco di Minneapolis, il 38enne (dato questo importante) Jacob Frey, è di parte democratica, come si evince bene anche da questa evocativa immagine (sempre il potere che le immagini suscitano), esplicativa del suo endorsement (come dicono le persone colte) per quell’agnellino di Hillary Clinton. Ebbene, il giovane (fino ai 40 si è giovani oramai) pollo d’allevamento, ops, scusate, il giovane brillante politico, in prima battuta aveva deciso solo di licenziare i colpevoli dell’omicidio, senza processarli per tale reato. Solo quando si è sollevata la protesta da mezzo mondo ha “prontamente” messo rimedio a questo disguido. Ma si sa, la notte porta consiglio.
Ora, quello che è passato, complici soprattutto i mass media americani (e non), è che il cattivone, colpevole di questo ennesimo atto di violenza della polizia (a questo proposito ci sarebbe da sottolineare che ci sono altrettanti, anzi di più, atti di violenza compiuti da neri su bianchi, poliziotti e non), come ovvio è stato Donald Trump. #hastatotrump, per dirla in termini moderni. Inoltre, come per magia, allorquando sono scoppiate le rivolte in tutto il Paese e nel resto del mondo (evidentemente ci sono stati episodi analoghi in ogni nazione dell’orbe terracqueo), si sono visti poliziotti preparare pietre lungo il percorso dei “manifestanti” che, spintaneamente, sono scesi in strada per testimoniare il loro sdegno per la morte di Floyd brandendo lo slogan  #BlackLivesMatter.

Le nuove crociate

Negli Stati Uniti è in corso una, neppure tanto velata, guerra civile, con tanto di coprifuoco e guardia nazionale in campo. Intere città sono state messe a ferro e fuoco da orde di manifestanti, la cui furia si è manifestata anche con un rigurgito di iconoclastia, insozzando o distruggendo statue di personaggi storici, a torto o a ragione, considerati “colpevoli” di essere stati in qualche modo coinvolti con la segregazione razziale o di averla quantomeno indirettamente favorita. Fra le illustri vittime si annoverano anche Cristoforo Colombo e Ghandi, notoriamente quest’ultimo colpevole di aver discriminato le truppe di sua Maestà britannica nel suo Paese, la ricca (per gli autoctoni, ovviamente) India. È scoppiata una furia di stampo talebano, dove le vittime sono non solo le statue o i simboli, ma anche le persone. Episodi di follia collettiva, assalto ai negozi e ai negozianti, e una serie varia di atti di violenza pura gratuita girano in rete, filmati un po’ ovunque. Sembra di vivere in uno di quei film tipo “1997: fuga da New York”.
Tutto sommato, a ben pensarci, in tempo di Coronavirus, chi avrebbe tutto l’interesse di aggravare la già precaria situazione? Ovvio, non di certo Donald Trump, che vorrebbe essere rieletto il prossimo novembre. E allora? E allora potrebbe venire il dubbio che siano i suoi avversari, formati ovviamente dai “Democratici” (mai nome fu più sviante dalla realtà) e da parte dei Repubblicani, i cosiddetti falchi del “deep State” che con i primi hanno diversi obiettivi in comune. Il biondo Donald, sarà pure uno sporco affarista, ma non è uno stupido come lo dipingono. Non è manovrabile e non è possibile farlo fuori con mezzi “leciti”, minacciandogli le aziende, come fu fatto in Italia con quella mezza calzetta di Berlusconi. E allora come si fa? Ma ovvio! Si mette su una bella “rivoluzione” colorata, dopo che si è provato inutilmente per 4 anni a farlo fuori dipingendolo come il diavolo in persona tramite i mass media, completamente venduti (ecco alcuni esempi: qui, qui e qui) eccezion fatta per la Fox che sta dalla sua di parte. In questo caso non d’arancione, ma di nero è colorata la rivolta. Il malcontento, più che giusto della comunità nera già c’è, quindi versare benzina sul fuoco è un gioco da ragazzi. Un po’ come il famoso terrorismo islamico (che guarda caso è un po’ che non salta fuori con qualche attentatuccio da qualche parte nel mondo), messo su come messinscena dai servizi segreti di mezzo mondo, fomentando qualche “povero” invasato che poi, guarda tu sempre il caso, regolarmente viene fatto fuori dalle efficientissime forze d’intervento (che prima avevano, ma guarda tu sempre la casualità, fatto acqua da tutte le parti, tanto da non prevedere l’attentato).

Utili idioti di tutto il mondo, unitevi!

Ma lo stigma negativo affibiato a Trump (che sottolineo, a scanso di equivoci, non riscuote le mie simpatie in quanto affarista, con tutto quello che ne consegue) deve travalicare i confini degli USA. Così movimenti di protesta simili a quelli statunitensi si sono “magicamente” espansi in tutto il mondo. Sono stati arruolati per primi gli “utili idioti”, allevati dal sistema nel corso degli ultimi 30/40 anni, come ho scritto ne “L’altra faccia della Luna“. Quindi, istigati dai mass media, si sono mossi i vari movimenti, soprattutto giovanili, che sono scesi in piazza con slogan e canti contro l’odiato dittatore. La furia iconoclasta ha colpito le principali capitali mondiali, distruggendo e insozzando quelli che sono stati indicati come simboli (che stavano lì da decine di anni, se non secoli) della discriminazione e dell’oppressione. In nome di questa “necessaria” liberazione da tali simbologie si sono messe in atto devastazioni e violenze varie (anche omicidi, sempre in nome della libertà, s’intende).
E arriviamo dunque a noi, il laboratorio sociale per eccellenza in Europa, assieme a Svezia e alla città di Berlino. Come si evince dal filmato di cui parlavo all’inizio, sono state mobilitate le “truppe cammellate”, in prevalenza giovanili, che gravitano attorno a quella che ancora viene spacciata per “sinistra”, ma che altro non è che la gentaglia di appoggio creata appositamente dal grande Capitale internazionale per operare nel nostro disgraziato Paese. Della Sinistra storica non hanno proprio più un bel niente, se non negli slogan sbiaditi e nei titoli dei giornaloni italiani (tutti allineati, s’intende. Ci mancherebbe pure che non fosse così!). Così come la “Destra” storica non esiste più.
Ebbene sono scesi in piazza, in tutta Italia. Soprattutto Bologna è un laboratorio perfetto per testare questo tipo di movimenti “spintanei”. Non scordiamoci che è la città dove abita e opera Romano Prodi, artefice della svendita del patrimonio economico italiano assieme ad altri personaggetti come Beniamino Andreatta ed altri ancora, considerati quest’oggi “padri della Patria”. L’ex Presidente della Commissione Europea (1999-2004) nonché fondatore di Nomisma, società di consulenza e ricerche di mercato dove il Capitale italiano forma i giovani rampolli che serviranno a rimpiazzare i vari “Cottarelli & Co.” nel prossimo futuro. Insomma un crogiolo dove far crescere le “nuove” tendenze per influenzare i giovani (su come sia stata destrutturalizzata la Scuola ho già parlato sempre in “L’altra faccia della Luna”).
E infatti dove sono nate le “Sardine”? Ma a Bologna, ovviamente! Poi si sono “espanse” un po’ ovunque, anche fuori dei confini patrii. A Berlino, ad esempio, ce n’è una rappresentanza (sparuta, a dire il vero), ma che ricalca lo stesso cliché di quelle italiane. Le idee sono le stesse e si muovono in rete, soprattutto sui vari gruppi Facebook presenti in Germania e nella Capitale in particolare. Lo scorso 14 giugno, in concomitanza con una ben più grande manifestazione organizzata da circa 130 gruppi per “non permettere che i diritti umani, la giustizia sociale e la giustizia climatica siano messi l’uno contro l’altro”, sotto il motto #SoGehtSolidarisch e formando una catena umana ideale lungo diversi km nella città, le Sardine berlinesi si sono mobilitate per manifestare anche loro lo sdegno nei confronti di quanto accaduto a Floyd. Purtroppo però a Berlino c’erano circa 28 gradi e si sa, più che i principi poté la voglia di fare il bagnetto in qualche lago nei dintorni e dei circa 2mila e 100 membri iscritti al gruppo c’erano (evidentemente in rappresentanza) appena una ventina di eroici protestatori. Ma va apprezzato lo sforzo. Un po’ meno la capacità critica dei nostri connazionali e di tutti gli altri giovani (anche quelli della manifestazione principale #Unteilbar erano per più dell’80 per cento sulla ventina o poco più). Sono una generazione che non è più abituata a pensare con il proprio di cervello e, come spugne, assorbono ciò che gli viene propinato in Rete o tramite il tam tam collettivo ripetendolo con slogan e modalità anch’essi preparati per loro ad hoc.
Coronavirus o meno mala tempora currunt, come dicevano i Romani e il redde rationem sembra essere sempre più vicino. Molto più di quanto noi tutti ci aspettiamo, temo.


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Nemulisse

One thought on “La messa cantata del neo-liberismo

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