Ricordo che quando ero piccolo amavo andare con mio nonno a visitare una delle più belle ville di Roma, villa Doria Pamphilj, luogo dove lui aveva vissuto da bambino con la sua famiglia, in quanto che il padre era il giardiniere del principe. Imparai allora il valore e l’importanza del ricordo e dell’insegnamento, non perché mio nonno fosse una persona speciale, anzi, a dirla tutta probabilmente non lo era affatto, bensì perché l’importanza di ciò che mi raccontava della sua gioventù prima, delle vicende vissute in guerra poi, mi fece visualizzare con la semplice forza dell’immaginazione vicende e storie che, altrimenti, non avrebbero mai fatto parte del mio bagaglio culturale e d’esperienze. Probabilmente non avrei mai assaporato il dolce tepore del Sole che entrando da una finestra di una casa ai margini della villa illuminava un fienile, dove, sopra un tavolaccio, il maiale che sarebbe servito a sfamare tutta la famiglia per un anno intero, apparentemente morto, d’improvviso s’alzò e scappò giù per le scale fra lo stupore di tutti; né forse avrei mai compreso cosa volesse dire tornare a casa propria, a guerra finita, viaggiando con mezzi di fortuna fin dalla fredda Polonia. Altrettanto mi sarebbe mancato il sapere che terrificante effetto dovesse fare, all’età di 12 anni, perdere entrambi i genitori a distanza di 6 mesi l’uno dall’altro, portati via da una devastante epidemia d’influenza (denominata in quell’occasione come “spagnola”) se non me lo avesse mai raccontato mia nonna, né forse mai mi sarei appassionato alla bellezza ed eleganza stilistica degli anni ’20 e ’30 del secolo scorso se non me le avesse trasmesse con le sue parole e con i pochi oggetti residui che conservava con cura essa stessa, d’allora.
Il ricordo è importante, per il nostro presente, per la nostra formazione, per ciò che diverremo, per ciò che ci formerà in futuro. Le esperienze degli altri non andrebbero mai lasciate svanire nel nulla dell’eternità, perché potrebbero rappresentare un pezzetto di noi stessi mancante; potrebbero essere ciò che avremmo potuto essere e che non saremo mai, proprio perché non ne abbiamo fatto tesoro, introitandole nel nostro essere, nella nostra personalità, nei nostri sentimenti e pensieri.
Ricordare deriva dal latino re-cordor, cioé riportare al cuore, “luogo” da sempre privilegiato come sede dei nostri sentimenti. I greci, invece, erano ancora più specifici (come ho avuto altrove modo di dire): loro distinguevano fra ciò che si sa per aver avuto esperienza diretta e ciò che si sa perché ci è stato riferito. Il ricordo fa parte del primo modo d’esperire per chi racconta e del secondo per chi ascolta. Entrambi però hanno il fascino del sentimento: poco importa se deriva da esperienze un po’ falsate dal tempo, come ben aveva compreso “Omero”. Ci faranno compagnia per tutta la vita!
Salvator Dalì – Clock
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Nemulisse

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