Facciamo tutti finta che sia tutto normale. Ma non lo è, non lo è affatto.
So che questo post, per quei pochi che lo leggeranno, sarà motivo per darmi del complottista, del populista e di altri …ista a scelta. Ebbene, facciamo finta, anzi no. Fate finta che tutto sia normale. Fate finta che la vostra vita sia normale, regolata dai meccanismi del fato o del soprannaturale dove voi siete protagonisti degli eventi, almeno quelli contingenti. Ma non è così, o almeno in parte.
La rassegnazione è il sentimento più diffuso fra quanti contatto giornalmente, siano essi più anziani o più giovani. E’ un sentimento trasversale, diffuso, che si espanso come un cancro ed ha preso gli animi tanto di quanti una volta erano combattivi, quanto di quelli che dovrebbero esserlo oggi, per il loro futuro, per il loro domani.
I primi sono gli uomini e le donne della generazione di mio padre, gente vissuta nel pieno di alcuni cambiamenti epocali che in parte hanno vissuto consapevolmente. Oggi sono pensionati, per lo più, ma se ancora lavorano si sono adeguati al mondo che li circonda. Per paura, per la paura di perdere ciò che hanno accumulato nel corso degli anni (a volte con merito perché capaci, altre per fortuna o semplicemente perchè hanno sfruttato un altro tempo di vita, in cui a molti, anche senza merito alcuno, era concesso di partecipare al banchetto dell’opulenza) per sé e per i propri figli, bisognosi  di aiuto, soprattutto economico. Hanno smesso di lottare, pur sapendo che ciò che hanno supinamente accettato è il male; un male che corrode, che uccide lentamente, senza fartene quasi accorgere. Hanno paura per le proprie pensioni, per gli anni che gli rimangono davanti, e si adeguano.
Altra categoria sono quelli della mia età, senza futuro alcuno. Alcuni cadono sovente in depressione e rimangono sospesi in un limbo che li fa passare da rari momenti di attivismo a lunghe pause di inattività e sconforto. Non avere un lavoro a cinquant’anni è logorante, per la mente e per il fisico. Si è poi in quell’età in cui si smette di avere sogni e ci si fa facilmente prendere dalla disperazione. Alcuni cedono, per sopravvivere, e si rassegnano a fare lavori da ragazzino diciottenne, sfruttato fino all’inverosimile. Altri, come me, ci sono passati tutta una vita in questa fase. Prima pensando che fosse normale accettarla, poi per rassegnata mancanza di alternative. Infine si sono stancati di tutto ciò che li circonda e pensano di fuggire, illudendosi, altrove per ricominciare o, se non sono così fortunati, di farla finita definitivamente.
Infine ci sono i giovani, quelli che al futuro vedono per forza di cose con gli occhiali della propria giovinezza che, spesso, illude o distorce la reatà. Molti, la maggioranza, sono del tutto inconsapevoli ed ignorano quanto sta accadendo loro attorno. Pochi si rendono conto che ciò che li circonda non sia invece affatto normale, ma pochissimi cercano di ribellarsi, invano, allo stato di cose che sembra loro ineluttabile.
Già lo sembra, ma in realtà non lo sarebbe affatto. Uso il condizionale perché è un dato di fatto che dipende dalla volontà di alcuni che potrebbero, con il loro operato ed esempio, cambiare alla lunga la tendenza e, di conseguenza, le cose. Chi sono costoro? Proprio quelli di cui parlavo all’inizio: i pensionati di cui sopra. Figli di chi aveva vissuto uno, se non due conflitti mondiali, avevano in parte lottato per costruire un nuovo mondo, forse illudendosi di riuscirci, forse riusciendoci realmente.
Mentre loro facevano questo, altri preparavano il mondo in cui viviamo oggi e lo facevano in modo sottile e con un accanimento costante che alla lunga, come poi è stato, avrebbe portato i suoi frutti. I primi hanno lasciato trionfare i secondi. In parte perché si sono “semplicemente” venduti a questi ultimi, in parte perché non si sono accorti di partecipare ad un gioco in cui le carte in tavola le distribuivano gli altri, che avevano per giunta l’asso nella manica. Quando se ne sono accorti, e solo alcuni lo hanno fatto, era troppo tardi. E allora che fare? Eh, beh, le soluzioni sono tre: o ci si convince che l’unica cosa sensata per sé e per i propri figli, come dicevo prima, è quella di cercare di “galleggiare” in questo mare di letame, almeno in parte allineandosi all’onda generale; oppure facendo finta di niente ci si godono semplicemente gli anni che rimangono davanti, con la paura di vedere svanire il frutto del proprio lavoro (quando lo si è effettivamente fatto); oppure si ignora realmente il problema, convinti che ciò che viene raccontato dai mezzi d’informazione sia vero e che questo sia il migliore dei mondi possibili. Figuriamoci gli altri, verrebbe da dire!
In buona sostanza l’ignavia di costoro, che scelgono o la via più facile, o semplicemente scelgono di non scegliere, è secondo me l’autostrada che è stata aperta a chi ha portato il mondo a ciò che è oggi. Questi ultimi sono incontrastati ed agiscono a tutti i livelli per permeare la società dei loro valori. Questo la generazione di mio padre ce lo avrà per sempre sulla coscienza e, personalmente, per quel che vale, non glielo perdonerò mai.
L’ignavia è il maggior peccato della nostra società e chi altri se non padre Dante ha saputo magistralmente descrivere costoro?
Inferno, Canto III 
« E io ch’avea d’error la testa cinta,
dissi: “Maestro, che è quel ch’i’ odo?
e che gent’è che par nel duol sì vinta?”.
Ed elli a me: “Questo misero modo
tengon l’anime triste di coloro
che visser sanza infamia e sanza lodo.
Mischiate sono a quel cattivo coro
delli angeli che non furon ribelli
né fur fedeli a Dio, ma per sé foro.
Caccianli i ciel per non esser men belli,
né lo profondo inferno li riceve,
ch’alcuna gloria i rei avrebber d’elli”.
E io: “Maestro, che è tanto greve
a lor che lamentar li fa sì forte?”.
Rispuose: “Dicerolti molto breve.
Questi non hanno speranza di morte,
e la lor cieca vita è tanto bassa,
che ‘nvidïosi son d’ogne altra sorte.
Fama di loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna:
non ragioniam di lor, ma guarda e passa”. »
Gustave Dorè – Ignavi

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Nemulisse

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