Per lungo tempo in Europa la Politica ha abdicato il proprio potere in favore di quella che sembrava essere la “macchina” del mondo, ciò che lo faceva andare avanti e lo aiutava a “crescere”, ovvero l’Economia. Fino alla seconda guerra mondiale il valore della πολιτική era il centro dell’azione dell’uomo che, come sosteneva Aristotele*, è l’unico “animale polico” per natura. Non che l’Economia non fosse presente nell’orizzonte dell’agire sociale, anzi, come Marx aveva ben individuato, era l’oggetto-soggetto dello sviluppo della società, ma l’importanza attribuita ad essa era commisurata alla capacità della Politica di dare risposte ai bisogni sociali della popolazione. Di qui l’importanza della Cultura, intesa nel più ampio senso del termine. Volutamente l’ho scritta con la C, perché ancora ad essa veniva attribuito un valore che, purtroppo, ha perduto ai giorni nostri. La Politica attingeva a tutte le fonti del sapere e non aveva dato il primato ad una sola di esso. Lo sviluppo economico “miracoloso” dell’Occidente, a scapito di altre realtà del mondo, ha senz’altro contribuito a “spostare” il timone dell’azione politica verso il potere dell’Economia. Gli anni 80 dello scorso secolo sono stati il prodromo a quello che stiamo vedendo oggi. Le politiche economiche “senza freni” adottate da Regan negli Stati Uniti e dalla Tatcher in Gran Bretagna diedero, per così dire, il via ad una catena d’avvenimenti di trasformazione delle “rigide” regole keinesiane che fino ad allora l’Economia aveva adottato. L’importanza sempre più crescente dei “mercati” iniziò a prendere un posto speciale nel “cuore” della Politica. Qui in Italia, nei primi anni ’90, i maggiori rappresentanti dei partiti politici si recavano nel cuore della City londinese a sentire cosa “dicevano i mercati”, quasi attribuendogli un potere “umanizzato” e mi riferisco in particolare a dirigenti di quello che era stato il più grande partito comunista d’Europa dopo quello dell’Unione Sovietica, cioé i PCI, nella “nobile” figura di Massimo d’Alema. Tornando alla Tatcher, la sua politica di privatizzazioni, oltre che smantellare l’industria nazionale in favore di quella privata, pose le basi della trasformazione dell’Economia britannica da prevalentemente industriale a finanziaria, facendo di Londra l’ombelico del mondo finanziario mondiale. La Gran Bretagna si è trasformata in una enorme fornitrice di servizi più che produttrice di beni primari. Gli Stati Uniti sono stati il maggior supporto a tale politica. In particolar modo le grandi banche ed i gruppi di potere economico si sono trasformati in gruppi finanziari più che industriali, vedasi Goldman Sachs, Liman Brothers & co..
Per tornare qui da noi, in Europa, la situazione nelle maggiori economie europee si è sviluppata sulla falsa riga delle regole dettate dal duopolio USA-GB e, mentre politici di vecchio corso, quali Mitterand e Kohl, provarono a porre basi diverse per lo sviluppo di un’Europa unita da un punto di vista politico, le mezze calzette che li hanno seguiti hanno abdicato tale primato nelle mani della Finanza che ha nel frattempo preso il potere a Bruxelles, per la precisione con suoi uomini al vertice della BCE. Un’Europa disunita politicamente fa il gioco dei grandi poteri finanziari mondiali, che sono statunitensi e britannici per lo più. Di qui il discorso iniziato prima, circa la Cultura. I politici delle maggiori nazioni europee non sono uomini di Cultura, nel più ampio senso del termine, e si vede purtroppo! Hanno completamente abdicato il potere all’Economia ed alla sua, per così dire, degenerazione che è la Finanza. Questo lo si vede bene ora, in questo momento di crisi profonda dell’Europa, che non è solo una crisi finanziaria, è una crisi d’idee. I cosiddetti taumaturghi della società, gli economisti, i cosiddetti tecnici ( τέχνη in greco vuol dire perizia, saper fare…!), non sanno più che pesci prendere per uscire da questo vicolo cieco in cui la Finanza ha messo tutti. Non sanno come poter dare risposte alla società che sta soffocando letteralmente sotto il peso immane messogli sulle spalle da un ristrettissimo gruppetto di “potenti”, seduti dietro una scrivania dall’altra parte del mondo. I problemi concreti, quelli di tutti i giorni, di come sopravvivere alla fine della giornata non hanno risposte da parte di chi, avallando decisioni speculative, e qui mi riferisco ai nostri cari politici inetti, dei bravissimi salvotori della patria, gli economisti, più o meno tecnici, stanno facendo venire alla luce la necessità di risposte che non sanno dare. A mio parere non le sanno dare proprio perché gli mancano le basi culturali per darne: sono insipienti! Solo se la Politica capirà che la strada per uscire da questa impasse è quella di far ricorso ad altre “risorse” dell’agire politico in senso aristotelico di cui parlavo all’inizio, cioé dando ampio spazio ad altre discipline, quali ad esempio la Filosofia, intesa come capacità d’analizzare i problemi, la Letteratura, come spazio mentale per pensare nuove vie da seguire, e tutte le tanto vituperate Scienze umanistiche, fonti e risorse enermi di idee e sviluppo di soluzioni adatte all’essere umano.


Atene – Partenone





* “2. [Il bene per l’uomo è l’oggetto della politica].
Orbene, se vi è un fine delle azioni da noi compiute che vogliamo per se stesso, mentre
vogliamo tutti gli altri in funzione di quello, e se noi non [20] scegliamo ogni cosa in vista
di un’altra (così infatti si procederebbe all’infinito, cosicché la nostra tensione resterebbe
priva di contenuto e di utilità), è evidente che questo fine deve essere il bene, anzi il bene
supremo. E non è forse vero che anche per la vita la conoscenza del bene ha un grande
peso, e che noi, se, come arcieri, abbiamo un bersaglio, siamo meglio in grado di
raggiungere ciò che dobbiamo? Se è [25] così, bisogna cercare di determinare, almeno in
abbozzo, che cosa mai esso sia e di quale delle scienze o delle capacità sia l’oggetto. Si
ammetterà che appartiene alla scienza più importante, cioè a quella che è architettonica in
massimo grado. Tale è, manifestamente, la politica. Infatti, è questa che stabilisce quali
scienze è necessario coltivare nelle città, [1094b] e quali ciascuna classe di cittadini deve
apprendere, e fino a che punto; e vediamo che anche le più apprezzate capacità, come, per
esempio, la strategia, l’economia, la retorica, sono subordinate ad essa. E poiché è essa che
si serve di tutte le altre scienze e che stabilisce, [5] inoltre, per legge che cosa si deve fare, e
da quali azioni ci si deve astenere, il suo fine abbraccerà i fini delle altre, cosicché sarà
questo il bene per l’uomo. Infatti, se anche il bene è il medesimo per il singolo e per la città,
è manifestamente qualcosa di più grande e di più perfetto perseguire e salvaguardare
quello della città: infatti, ci si può, sì, contentare anche del bene di un solo individuo, [10]
ma è più bello e più divino il bene di un popolo, cioè di intere città. La nostra ricerca mira
appunto a questo, dal momento che è una ricerca “politica”.” 
Aristotele, Etica nicomachea, I,2.
Nemulisse

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