Libertà va cercando…

Libertà va cercando…

Marco Porcio Catone Uticense era fiero ed acerrimo nemico di Gaio Giulio Cesare. Caratteristica del personaggio era, anche a detta dei suoi nemici, di essere uomo retto, scomodo, imparziale e coerente. Talmente lo era che preferì togliersi la vita invece che accettare la grazia da parte dell'”homo novus” che avanzava, ovvero lo stesso Cesare, suo avversario politico. Per lui la libertà contava più della sua stessa vita.

Proprio per questa sua caratteristica padre Dante lo mette nel Purgatorio, e lo immortala con la famosa terzina:

…libertà va cercando, ch’è sì cara,
come sa chi per lei vita rifiuta. (Purg. I, 71).

Il concetto di “libertà” è sempre stato molto dibattuto nel corso della Storia, e la Filosofia contemporanea in particolare se n’è occupata a lungo. Per Kant la libertà riguardava un soggetto universale ed astratto, ma de-socializzato e de-storicizzato i cui  imperativi  erano totalmente astratti. Fichte, contemporaneo di Kant, capì che la libertà kantiana, presupponendo l’esistenza dogmatica della “cosa in sé”, rappresentava un presupposto  dogmatico della immodificabilità del mondo. Lui, al contrario riteneva che la libertà è sempre relazionabile alle singole situazioni,  ossia è un concetto sempre determinato. Ad esempio, per chi sta morendo di fame è poter mangiare e bere, e non “libertà di parola”. Al centro dell’analisi filosofica c’è il bene, la verità, non la libertà. Hegel di quest’ultima ne parla profusamente in diverse opere ed in particolare nei “Lineamenti di filosofia del diritto” chiarisce bene il concetto, recuperando quello di Platone ed Aristotele e inserendo l’individuo nella vita pubblica concreta. La società civile non è il luogo della competitività degli individui aventi la libertà di mandarsi in rovina a vicenda, perché per Hegel la comunità deve mettere in campo quelle radici etiche (come la scuola pubblica che deve dare pari opportunità a ciascuno di evolvere). La libertà è una relazione fra individui egualmente liberi, ma per essere egualmente liberi non basta avere la possibilità liberale di non nuocersi a vicenda, bensì ci devono essere anche i diritti di ciascuno (materielle Rechte), per primo il diritto all’esistenza, poi altri quali la sanità, l’istruzione, il lavoro (diritto-dovere quest’ultimo) e non ultimo il diritto al sostentamento. Gli individui, dunque, sono liberi nella misura in cui si realizzano nel quadro della comunità.

Il virus e la paura di morire

Per venire dunque ai nostri giorni, la massima che si sente spesso in base alla quale la “mia libertà finisce dove inizia la tua” non è che un vuoto assioma. Semmai è la tua paura che deve finire dove inizia la mia libertà. Il concetto di “libertà” viene oggi declinato come diritto di non essere contagiato, come diritto alla “salute” e non come diritto di scegliere. La salute viene messa come bene universale e necessario, scambiando un valore del singolo, o un suo bisogno psicologico, con un obbligo dell’intera comunità. Il che è un falso principio. E questo al di là dei veri e propri isterismi a cui stiamo assistendo in questo periodo, in cui stiamo vedendo scene che fino a un paio di anni fa chiunque avrebbe giudicato insensate (gente che aggredisce chi, da solo all’aria aperta, cammina senza mascherina, droni che inseguono persone in spiaggia, abusi di tutti i tipi da parte delle “forze dell’ordine”, ecc.). Ricordo solamente che in nome della libertà centinaia di milioni di persone nella storia hanno sacrificato la propria vita, mettendola al di sopra della propria incolumità o salute.

E ciononostante non si può ugualmente far assurgere la libertà a bene universale e necessario. Tu ti senti libero ad indossare un’inutile mascherina all’aperto (il virus più terribile che la storia ricordi, a detta dei media di regime, si ferma in pratica con una mutanda), quando sei distante dagli altri? Fallo pure se ti fa sentire “sicuro”, ma questo non comporta che lo debba fare anch’io necessariamente, perché non ti nuoccio in alcun modo. Se ti vuoi vaccinare, credendo che questo ti protegga dal virus, fallo pure. Questo non vuol dire che lo debba obbligatoriamente fare anch’io, visto che il “vaccino” (più correttamente farmaco sperimentale) non impedisce che un vaccinato possa trasmettere il virus agli altri, bensì, “effetti collaterali” a parte, dovrebbe innescare nell’organismo dell’individuo (tramite la famosa proteina spike) una reazione anticorpale tale da proteggerlo dal virus. Il tutto con una probabilità che ciò avvenga, che varia da individuo ad individuo e che, al massimo (a seconda del “vaccino”), può arrivare a poco più del 90 per cento dei casi. Questo senza contare il fatto che molti illustri scienziati ritengono che i dati forniti a tal proposito dalle case farmaceutiche sono ampiamente falsati.

Il vaccino panacea miracolosa

Il vaccino, questa moderna panacea contro i mali che affliggono l’umanità (non solo contro il Covid-19), è recentemente al centro dell’attenzione mediatica internazionale. Le multinazionali del farmaco in uno slancio di “generosità”, come non ce n’erano stati prima, si sono buttate a capofitto per trovare la pozione magica salvifica. E, quel che più è stato lodato, in pochissimi mesi l’anno trovata. Peccato però che non abbiano avuto, a quanto pare, l’accortezza di testare tale “arma da fine di mondo”. Un vaccino (e questi trovati non lo sono in senso stretto, perché in realtà si tratta di veri e propri farmaci) necessita di un periodo di test variabile, fino a dieci anni. Ma mai inferiore ai tre. Solo per fare un esempio l’AIDS (Acquired Immune Deficiency Syndrome), derivante dal virus dell’HIV (Human Immunodeficiency Virus), non ha a tutt’oggi visto un rimedio definitivo. E questo dal lontano 1981, allorquando venne alla ribalta per la morte sospetta di cinque omosessuali a Los Angeles (il virus aveva scelto l’uomo come suo “ospite” molti anni prima in realtà). In pratica ancora non esiste un vaccino in grado di sconfiggere questo virus. Quindi come si possa affermare che in pochissimi mesi si sia trovato il rimedio per il Covid-19 rimane un mistero, tant’è che le stesse case farmaceutiche non permettono di sapere esattamente il contenuto dei vaccini, e hanno chiesto l’immunità in caso di “eventi collaterali avversi”.

Ma servono questi vaccini? A detta di molti studiosi no. Fra i numerosi di casa nostra a sostenerlo ci sono il dottor Stefano Montanari, laureato in Farmacia con una tesi in Microchimica, e sua moglie Antonietta M. Gatti, fisico e microbiologa che si occupa da anni di nano patologie. Ma oltre a loro ci sono la dott.ssa Loretta Bolgan, laureata in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche, con un dottorato di ricerca in Scienze farmaceutiche, e il dottor Francesco Oliverio, psichiatra e pneumologo.

D’altra parte non ci vuole un genio nel campo medico per capire che ciascun individuo reagisce tanto ai virus, quanto ai vaccini o medicinali in modo completamente differente. Quel che può far bene a te, per intenderci, può far male a me. Per questa ragione sarebbe importante, prima di iniettarsi qualsiasi vaccino, fare analisi specifiche per vedere se il nostro organismo non possa risentire del contenuto che ci andiamo ad iniettare.

Vaccino miracoloso vs aspirina

A questo proposito l’argomentazione di quanti affermano: “Eh, prendono qualsiasi medicina che nel bugiardino ha un innumerevole elenco di effetti collaterali possibili, ivi inclusa la morte, perfino nella comune aspirina, e poi non si fidano di un vaccino (sempre salvifico)”. Oppure: “Eh, ma vuoi mettere? In percentuale quante sono le possibilità che il vaccino ti possa nuocere paragonate a quelle in cui questo non accade? Non c’è paragone!”. Già, piccolo particolare, però, che anche fosse solo uno il caso avverso, già basterebbe. E questo in base a quel principio di precauzione che sembra improvvisamente essere passato di moda. Anche un solo morto deve bastare. Anche perché quel morto potremmo essere noi stessi. Riguardo alla prima “boutade” si può semplicemente far notare che mentre quando si firma un consenso per, ad esempio, farsi iniettare il liquido di contrasto per fare una TAC, cosa c’è nel liquido lo si sa eccome, ed è stato ampiamente testato. Al contrario, qui, non si sa minimamente cosa ci si sta iniettando in vena e, soprattutto, non se ne conoscono le reazioni possibili a medio-lungo termine. Inoltre qui si prospetta l’obbligo vaccinale, chiedendo nel contempo l’immunità per chi deve iniettare il vaccino. Perché mai? Basterebbe farsi questa semplice domanda per capire che c’è qualcosa che non va. Inoltre, visto che a detta della stessa OMS, il vaccino servirebbe per proteggere noi, ma non gli altri dal pericolo che li possiamo contagiare, allora perché i vaccini obbligatori? Perché dovrei iniettarmi in vena qualcosa di cui non si può sapere il contenuto (è stato firmato un contratto a questo proposito fra le case farmaceutiche e la UE e gli altri Paesi) se questo non mi consente di tornare alla vita di prima? E se io preferissi morire a causa del Covid, perché non sarei libero di farlo? Forse perché darei il “cattivo esempio” agli altri? Non voglio parlare delle famose “varianti”, che si producono proprio perché si sta vaccinando. Che non si vaccini durante un’epidemia lo dicono tutti i virologi. Questo perché con il vaccino, il virus, sentendosi attaccato dagli anticorpi, per sopravvivere muta, generando appunto le varianti (non coperte dal vaccino che è stato messo in giro per il mondo in questo periodo. A questo proposito vedetevi il video della dottoressa Bolgan messo sopra). Ma la cosa ancora più pericolosa a seguito delle vaccinazioni in atto è la possibilità della comparsa delle cosiddette “chimere”, ossia nuovi virus che con quello di partenza non hanno nulla a che vedere e che, pertanto, non si conoscono con tutte le conseguenze del caso.

Un capitolo a parte spetterebbe alle cure domiciliari, che ci sono e funzionano se la malattia viene presa nei primi stadi, ma che vengono demonizzate e messe alla berlina. Come nel caso del dottor Mariano Amici. Oppure a terapie ospedaliere come il plasma iperimmune usato dal dottor De Donno.

Eh, ma in Israele…

Israele, come il Cile e, ora, la Gran Bretagna, vengono portati come esempi di successo della campagna vaccinale mondiale. Mi soffermerò brevemente solo sul primo caso, per non allungare ulteriormente questo lungo pezzo. Israele, circa 9milioni di abitanti in tutto, ha visto salire vertiginosamente il numero delle morti proprio dopo l’inizio della vaccinazione di massa, passando a fine gennaio, dai 5mila morti per Coronavirus in tutto l’anno precedente, a circa 6mila e 200, in un solo mese, per effetti collaterali del vaccino. Ma come mai questo Paese ha deciso di vaccinare tutti in così breve tempo? Forse perché il primo ministro Benjamin Netanyahu ha firmato un contratto con la Pfizer che prevede la quasi totalità della popolazione vaccinata in pochissimo tempo? E questo in quanto che il Paese ha la singolare caratteristica di essere un caso più unico che raro, giacché la popolazione è catalogata da un punto di vista sanitario, grazie ad un gigantesco database centralizzato. In pratica i dati sanitari di ogni cittadino sono tutti registrati. Quale migliore occasione per testare un farmaco sperimentale, come in un gigantesco laboratorio con 9milioni di cavie? Neanche durante il nazismo. La storia alle volte usa la pena del contrappasso.

 

Il virus per distruggere la piccola e media impresa

Sul fatto che il virus abbia origine artificiale oramai non c’è più dubbio. Lo aveva detto il premio Nobel per la medicina Luc Montagnier, scopritore dell’HIV. E per questa affermazione era stato messo alla berlina da parte dei media di mezzo mondo (si era mostrata una sua foto, durante un’intervista, dove si vedeva una bottiglia di vino poggiata su un camino alle sue spalle. Ovviamente facendo capire che fosse un ubriacone) e da “illustri” scienziati (o presunti tali, solo per il fatto di comparire ogni giorno sui media nostrani) di parere contrario. Salvo poi “ricredersi” quando la cosa è apparsa evidente. Ovviamente si dice che il virus, in ogni caso, era probabilmente sfuggito di mano a qualche scienziato “distratto”.

Ovviamente a una “svista” neanche un bambino delle elementari crederebbe. E infatti

Ma allora il virus a cosa serve? Beh, a dirlo, senza oramai neanche più nascondersi, sono i signori dell’élite mondiale, riunitisi a Davos lo scorso gennaio. Occorre passare ad un Nuovo Ordine Mondiale. Il che vuol dire la trasformazione dell’industria classica a favore della digitalizzazione e del falso “green”. Dico falso perché, in realtà, le industrie “green” non esistono, e i loro possessori sono gli stessi che posseggono quelle “classiche” e “inquinanti”. La corrente utilizzata per caricare (dove?) le auto elettriche secondo voi da cosa è prodotta? “Beh, dall’eolico e dal solare”, direte voi. E invece no! Nella stragrande maggioranza è prodotta proprio dalle vecchie centrali a carbone o lignite (ancora più inquinante), o dalle centrali nucleari in quei Paesi che l’energia la producono anche così (come la Francia, per rimanere vicino a noi). Per fare un esempio di quanto ancora sia lontanissimo il “miraggio” della corrente prodotta dall’eolico e dal solare basti pensare che la Germania, Paese che dell’eolico in particolare ha fatto un vero e proprio vessillo dopo la cosiddetta dell’Energiewende (la svolta energetica con l’abbandono del nucleare) decisa nel 2011 dopo il disastro di Fukushima, in Giappone, produce solo il 25 per cento circa del suo fabbisogno energetico da questo settore. Eppure la “locomotiva d’Europa” è disseminata di pale eoliche. Per non parlare del fatto che non esistono ancora batterie atte a conservare l’energia prodotta per lungo tempo, prima di essere utilizzata. Ogni anno l’asticella del raggiungimento degli obiettivi auto-stabiliti (a parole) della limitazione delle emissioni dannose nell’aria viene spostata sempre più in là, perché non vengono mai rispettati. E ora si sta pensando di tornare al nucleare con i reattori a doppio fluido, ossia quelli che sono montati sui sottomarini ad energia nucleare. Nel mondo ancora i prodotti energetici chimici del carbone, del petrolio e del gas forniscono più di quattro quinti dell’energia per l’umanità (81,1 per cento).

Tuttavia il virus serve a favorire un cambiamento a favore della grande produzione. La piccola e media impresa dovrà sparire dalla faccia della terra, tranne qualche piccolissima nicchia di eccellenze di cui anche le élite economiche del pianeta si vogliono servire perché sarebbe impossibile stravolgerne la produzione senza intaccarne la qualità. Tutti gli altri o si dovranno adeguare, facendosi inglobare dalle multinazionali, oppure saranno strozzati e poi comprati per due soldi. Dovranno rimanere solo i grandi gruppi. Tutto è stato ben calcolato, minimo dal 2015, ma secondo me da ben prima. Alla fine la gente, stremata dalle non casuali chiusure ad organetto, o lockdown per usare un termine “moderno”, che altro non servono che a far fallire le piccole medie aziende appunto (e non per la salvaguardia sanitaria della popolazione. Qui al minuto 2:47 circa), sarà costretta in un primo momento a vendersi ciò che ha risparmiato per sopravvivere. Poi, finiti i soldi, per evitare inevitabili ribellioni, verrà concesso dalle élite un obolo, o reddito universale di cittadinanza che dir si voglia, per sopravvivere e con cui comprare i prodotti che le stesse élite producono. Le proprietà private, altra cosa a cui mirano, non dovranno più esistere e tutto dovrà essere affittato dai grandi gruppi. Per questa ragione viene propagandata in continuazione dai media di regime la storiella (peraltro falsa e smontata in poco dalla Rete) che le vecchie professioni rendevano “infelici” gli individui, che invece ora, con la pandemia, sono costretti a fare lavoretti da studentelli liceali per quattro soldi, ma ovviamente“felici”. Come i servi della gleba di una volta. Tutto questo è stato ben chiarito dalla monetarista Nicoletta Forcheri.

Il virus come metodo d’educazione

Bisogna “abituarsi” all’idea del virus. E per farlo, oltre ai vaccini, servono quei feticci che sono le mascherine, oltre al “distanziamento sociale” (parole non casuali, usate invece di distanziamento fisico). Gli individui che “lavorano da remoto” (quelli che lo possono fare) sono isolati e più deboli, proprio perché divisi. Sono anche controllabili, perfino con software appositi, come mette ben in evidenza lo storico e docente di Filosofia Pietro Ratto. Inoltre la censura cade come una mannaia su chiunque tenti di rompere il muro d’omertà che è stato creato attorno alla narrativa del Covid o metta semplicemente in dubbio il pensiero del mainstream. Io stesso, nel mio piccolo, sono stato più volte censurato da Facebook, con minaccia di chiusura del mio account per “violazione delle norme della community” (non specificate ovviamente). Proprio per questa ragione ho deciso di acquistarmi uno spazio web indipendente, o meglio tale finché i server che mi ospitano lo permetteranno. Se date fastidio, a qualsiasi titolo, nel mondo del digitale basta un click per farvi sparire. Esemplari le chiusure prima degli account Twitter e Facebook di Donald Trump, quando ancora era Presidente, o la cancellazione (poi ritirata) del canale Youtube di RadioRadio o quella più recente del canale di Byoblu (a quanto sembra definitiva). Google, il più potente motore di ricerca usato al mondo, potrebbe farvi sparire dai risultati di ricerca o celare a voi informazioni che state cercando.

Pensateci, un domani potreste essere voi la prossima vittima senza più voce per esprimere il vostro pensiero. È sempre una questione di… libertà.

 

Il ballo del Limbo

Il ballo del Limbo

I diversamente giovani come il sottoscritto (e, ovviamente, anche quelli nati prima) ricorderanno un ballo nato nell’isola di Trinidad, ai Caraibi, che andava molto di moda in tutte le feste a partire dai primi Anni Sessanta, anche grazie alla musica orecchiabile e ritmica di un pezzo dei “Champs”, reso ancor più celebre da Chubby Checker con il titolo Limbo Rock.

Ebbene tale ballo consiste nel passare a ritmo di ballo sotto un’asticella sorretta o da altri partecipanti al ballo medesimo o da appositi sostegni. Ad ogni turno ciascun ballerino dovrà, senza toccare l’asticella medesima o il terreno con la schiena, passare sotto tale ostacolo posto di volta in volta più in basso. In pratica si tratta dell’opposto di quanto  avviene in atletica con l’asticella del salto in alto o del salto con l’asta, dove invece di essere abbassata l’asticella viene posta sempre più in alto per passarci al di sopra senza toccarla.

Questa è l’immagine che mi viene in mente, a me noto complottista di terz’ordine, in merito alla storia, dal mio punto di vista molto divertente, dei vaccini salvifici che in tutti i Paesi si vedono come la panacea a tutti i problemi che la “pandemia” sta causando al mondo. O meglio, si vedevano come tali. Già, perché i meno attenti non ricorderanno come lo scorso anno, nel pieno del panico derivante dalle morti e dall’incertezza su come avvenissero i contagi del virus, si iniziò a parlare del vaccino come il solo mezzo per liberarci da questo immenso incubo e tornare alla “normalità”. Quando poi i vaccini, prodotti a tempo di record, sono arrivati, si è iniziato a dire che nonostante la vaccinazione non si potrà arrivare ad una vita “normale”, come quella di prima. Occorrerà continuare a portare la mascherina e il cosiddetto distanziamento sociale. Questo, dicono i ben informati (oramai chiunque spara opinioni e notizie in proposito a qualunque cosa), perché il vaccino proteggerebbe chi lo fa, ma non gli altri da un possibile contagio (immagino per tocco “divino”, visto che gli anticorpi non dovrebbero rendere nessuno più contagioso). Ad ogni modo la cosa che trovo più interessante non è questa, visto che personalmente non intendo affatto vaccinarmi (e se mai dovessero obbligarmi anche solo per prendere i mezzi pubblici spero di potermi fare quello russo “Sputnik V”), quanto invece il fatto che i vaccini sembra che non bastino per tutti e che, a causa di questo fatto misterioso, i tempi di un “ritorno alla minima normalità” si allungheranno di conseguenza.
In parole povere, non credo che i vaccini non ci siano (fuori dall’Europa ci sono eccome, oltre al fatto che ci sono brocker europei che li hanno e li vendono solo al di fuori dei confini della UE, per espresso divieto). Al contrario penso che si vogliano allungare sempre di più i tempi dell’inutile vaccinazione (le varianti si diffondono e rendono inutile qualsiasi vaccino. Mentre non si dice che basterebbe curare i  sintomi, visto che le cure ci sono e sono a bassissimo costo) per dare più tempo a chi di dovere di far fallire le piccole e medie imprese e impoverire la gente che non trova più lavoro. Il Grande Reset di Davos a questo serve. Un solo anno di finta pandemia (ho già spiegato altrove perché “finta”) non è sufficiente a portare a compimento tale operazione. Occorre continuare con le aperture ad organetto (fatte per ridare una tenue speranza di vedere la fine dell’incubo), salvo poi richiudere tutto dando la colpa ora all’irresponsabilità dei giovani o dei vacanzieri, ora all’ennesima variante proveniente da chissà dove, che causano la terza, poi la quarta, la quinta ondata e così via. Tutto ovviamente condito da false o parziali notizie diffuse a profusione dai media complici e servi del grande potere.

L’asticella si avvicina sempre più verso il terreno e a tempo di Limbo si scende sempre più, ma ancora non tutti se ne stanno rendendo conto.

 

 

 

Delle streghe cattive e di altre favole

Delle streghe cattive e di altre favole

C’era una volta una strega cattiva…, o meglio ce n’erano due. Così potrebbe iniziare la nostra storia. Oppure: in un mondo futuro, manco tanto lontano, c’era una bella principessa addormentata nel bosco. Il suo nome era Italia. 
La povera meschina viveva in povertà assoluta, vessata dalla mattina alla sera da un migliaio di orribili nanetti,  servi sciocchi,  o utili idioti che dir si voglia, delle due regine.
Ogni volta che la principessa stava per essere svegliata da un principe che passava nel bosco,  ecco che le due streghe cattive, ora l’una ora l’altra, provvedevano a farla ripiombare in un sonno profondo facendola pungere dai nanetti con un fuso dalla punta avvelenata. A tempi irregolari le due perfide vegliarde le inviavano finti principi che, con le labbra avvelenate, la baciavano fingendo di volerla liberare dal gioco perverso di sottomissione e in realtà facendola piombare ogni volta in uno stato catatonico sempre più profondo. 
Un bel giorno la principessa più potente (che aveva generato l’altra con lo scopo di occuparsi dei territori lontani in una regione chiamata Europa) decise che era arrivato il momento di mandare un essere molto potente, al suo servizio,  per finire definitivamente di soggiogare la bella addormentata. Questo essere aveva le sembianze di un Drago che sputava fiamme dalle narici ed era circondato da otto fedelissimi che gli facevano da scudieri.
La seconda strega cattiva (quella un po’ meno potente, per capirci) che si chiamava UE e le sue aiutanti, Alemanna e Franzosa in primis, pensarono erroneamente che il Drago fosse stato mandato per dare loro una mano a sottomettere la bella addormentata. Ma in realtà non avevano capito un bel niente. In realtà egli era l’inviato della strega più potente, il cui nome NOM faceva rizzare i capelli in testa per la paura al solo nominarlo, e di quest’ultima doveva portare a termine gli ordini,  fregandosene bellamente delle aspettative di UE e delle sue servitrici. 
Proprio questa, però, era la ragione per la quale agli occhi sognanti di Italia (e non avrebbe potuto essere diversamente, sennò che bella addormentata sarebbe stata!) sembrava essere l’eroe salvatore della Patria. Così ad ingannarsi erano in due: la meschina che versava in un letto di dolore e sangue, e la strega UE e le sue servette.
Alle volte le speranze giocano brutti sogni e il sonno della ragione genera incubi, oltre che mostri.
Il seguito della favola ve lo racconto un’altra volta. Intanto vado sulle tombe dei fratelli Grimm e di Basile per farmi perdonare.
Speriamo che siate indulgenti anche voi!
G
M
T

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Il circo della narrazione corrente

Il circo della narrazione corrente

Un grande circo. Solo questa è l’immagine che userei per definire l’attuale momento politico italiano. La frenetica corsa dei “partiti” (sarebbe opportuno chiamarli così solo in virtù del participio passato del verbo partire, ossia nel senso che sono belli che andati… da tempo oramai) a salire sul carro del vincitore, quel Mario Draghi di cui ho ricordato la figura qui, è uno spettacolo di una tristezza unica e palesa completamente il vuoto cosmico in cui è precipitata la Politica in Italia. Nessuno escluso. La finta opposizione manifestata da “Fratelli d’Italia” di Giorgia Meloni, entrata nell’Aspen Institute, è solo che funzionale a non far dire che il “salvatore della Patria” ha ottenuto un consenso bulgaro, da Paese governato da un sistema dittatoriale, mascherato da democrazia.

Esempio lampante di questo circo è la finta “riflessione” di Beppe Grillo, un comico che si è da tempo venduto a quegli stessi poteri forti che, un tempo, diceva di voler combattere. Il partito da lui creato (cui inizialmente avevo aderito anch’io,  ed è stata la prima e l’ultima volta in vita mia che ho fatto una cosa del genere, illudendomi che fosse realmente “rivoluzionario”) è stato funzionale al “sistema”. E questo per convogliare la rabbia della gente nei confronti di una classe politica oramai completamente inconsistente e perpetuatrice del proprio potere,  ai danni dell’interesse reale del popolo che gli aveva dato il proprio consenso (quando era stato possibile votare, cosa praticamente oramai inutile per la qualità dei possibili rappresentanti, oltre che una forma di democrazia, tale o  presunta, praticamente proibita nel nostro Paese). Ebbene Grillo ha detto di aver trovato sorprendentemente un “grillino” in Draghi, chiedendo, durante il colloquio avuto con quest’ultimo, un “ministero per la Transizione ecologica”.

Si potrebbe obiettare che non si capisce (in realtà la ragione si comprende benissimo, come spiegherò fra poco) il motivo per il quale i 5 Stelle non lo hanno fatto direttamente loro, visto che sono stati al Governo dal 2018. Ma la risposta è molto chiara e logica, almeno per me. E la ragione è molto semplice. Quella di Grillo non è altro che una pantomima, giacché la sua “richiesta” non è altro che la spinta che il Nuovo Ordine Mondiale, ossia quello di Davos e del “Great Reset” (non è complottismo, visto che è tutto pubblico), vuol far passare attraverso il messaggio che la nuova economia “green“, quella preparata con Greta per capirci, è imprescindibile e auspicabile, perché il futuro non può che andare in quella direzione. Ossia verso la digitalizzazione e il cambiamento dell’industria in una forma -dicono loro- di eco-compatibilità e sostenibilità ambientale. Ovviamente non è così. La nuova industria (sempre loro) inquina tanto quanto quella classica. Almeno allo stato attuale delle cose. Ma sicuramente tende alla sostituzione della manodopera umana con le macchine. Queste ultime lavorano 24 ore al giorno, 7 giorni su 7, 365 giorni l’anno. Non bisogna pagargli uno stipendio, non si ammalano, non scioperano, sono estremamente efficienti e il loro costo si ammortizza in tempi molto brevi. 

L’annientamento della piccola e media impresa

Questo causerà una vera e propria ecatombe nelle fila dei lavoratori che, di conseguenza, andranno a riempire il bacino dei disoccupati, molto spesso con famiglie a carico. Altra operazione che si sta facendo in parallelo è la distruzione della piccola e media impresa, attraverso le chiusure forzate (i vari  lockdown) dovute, così dicono loro, per il dilagare della “pandemia”. A proposito di quest’ultima, come ha fatto giustamente notare l’ex ministro Antonio Martino (qui, dal minuto 9:17 circa), la si può definire tale? La domada è più che plausibile, visto che la “Spagnola”, all’inizio del secolo scorso, causò circa 50milioni di morti con una popolazione mondiale di circa 1miliardo e 400milioni di persone, mentre oggi il Covid ha fatto circa 2,36milioni di morti (ammettiamo pure per causa diretta) a fronte di 7miliardi e mezzo di abitanti.

Un “salvacondotto” sanitario

Allora le chiusure forzate a cosa servono? In Germania è venuto fuori uno scandalo (che non è stato minimamente pubblicizzato sui media mainstream), grazie alla versione domenicale del quotidiano “die Welt”. In base alle informazioni della redazione di Colonia, venuta in possesso di circa 200 pagine di corrispondenza interna, ottenute dagli avvocati nel corso di una controversia legale (tutt’ora in atto), che coinvolgono il ministero degli Interni e il prestigioso Robert Koch Institut, oltre a molti scienziati di diversi altri istituti di ricerca e Università. Ebbene, il Ministero avrebbe incaricato i ricercatori dell’Istituto e delle altre istituzioni di creare un modello di calcolo sulla base del quale il ministro Horst Seehofer (CSU), ha giustificato le dure misure per il Coronavirus per scopi politici nella prima ondata della pandemia, nel marzo 2020. In uno scambio di e-mail il sottosegretario di Stato, Markus Kerber, chiedeva ai ricercatori contattati di elaborare un modello sulla base del quale pianificare “misure preventive e repressive”. Secondo la corrispondenza, gli scienziati hanno lavorato in stretto coordinamento con il Ministero e in soli quattro giorni hanno sviluppato i “motivi giustificativi” in un documento che era stato dichiarato segreto, che è stato distribuito tramite vari media nei giorni successivi. È così che era stato calcolato uno “scenario peggiore”, secondo cui più di un milione di persone in Germania sarebbero potute morire a causa del virus, se la vita sociale fosse continuata come prima della pandemia.

La chiusura forzata serve dunque a questo (e non a contenere i contagi, visto che sui mezzi pubblici si viaggia comunque stipati, praticamente ogni giorno in ogni nazione): a far fallire intere categorie lavorative. In Germania si calcola che già ora un’impresa su cinque è già bella che fallita. E stiamo parlando di un Paese che ha ampiamente fornito sussidi economici (almeno durante la scorsa primavera) alle imprese messe in difficoltà dalle chiusure forzate. Figuariamoci in Paesi come l’Italia, dove gli aiuti sono stati praticamente inesistenti, almeno nella maggior parte dei casi.

La vita prossima futura

E allora? Dopo il fallimento della piccola e media impresa, cosa accadrà? Beh, la gente inizierà ad attingere ai propri risparmi (c’è chi già lo sta facendo) per poter sopravvivere, poi toccherà ai beni immobili (l’Italia in particolare è il Paese che europeo che ha più risparmio privato, che ammonta a circa 9mila miliardi tra denaro e proprietà immobiliari). I grandi gruppi a quello mirano e in cambio, per non far ribellare la gente, le verrà concessa una sorta di paghetta (chiamatelo pure reddito di cittadinanza universale, o come volete) che permetterà alle persone di sopravvivere e di comprare le merci prodotte dai giganti trasnazionali. Il tam tam per far abituare all’idea del nuovo regime è già partito, facendo passare l’idea falsa che non possedere nulla in cambio di una sicurezza sanitaria (ovviamente obbligando le persone a vaccinarsi per poter compiere le più normali attività sociali, come prendere i mezzi pubblici, o frequentare cinema, teatri o anche prendere un aereo per i viaggi più lunghi) è bello e naturale, perché si può usufruire di tutto affittandolo. Da chi? Ma da loro, ovviamente. Le persone non dovranno possedere più nulla. Fa fico (ve lo stanno istillando su tutti i giornali “di regime”) fare il rider per consegnare pizze tutto il giorno, piuttosto che avere il vostro “vecchio” lavoro. Anche se avete 50 anni. Perché dovete essere precari a vita e vi dovete abituare all’idea. Neanche il denaro contante ci dovrà più essere. Con la moneta digitale (che viene detto conviene per evitare i contagi con lo scambio di cartamoneta, oppure per l’altra panzana del controllo dell’evasione fiscale) saremo tutti sotto controllo in ogni momento. Di noi si saprà sempre dove siamo, cosa facciamo e quando lo facciamo. Inoltre ci si potrà chiudere il rubinetto in qualsiasi momento, lasciandoci in povertà assoluta (cosa si può fare quando una banca ci nega l’utilizzo della carta di credito o del pago-bancomat, o il trasferimento elettronico di denaro?), oltre che essere messi alla pubblica gogna come individui pericolosi per la società se non si rispettano le “regole” imposte dal sistema (cosa che regolarmente già avviene in Cina, uno dei due grandi poli del Nuovo Ordine Mondiale). Il tutto tramite applicazioni sul cellulare o sul computer, se lavorate da casa (smart working è bello e fico), oppure con un chip sottopelle, come sta già avvenendo in Svezia, dove, guarda caso, la “pandemia” ha colpito molto poco e la gente (al contrario di quello che vi raccontano giornali e tv) gira quasi del tutto liberamente. Chissà com’è!

Ebbene, di fronte a questo mondo che ci aspetta, che senso ha ancora discutere di Grillo, i 5 Stelle o Salvini? La risposta datevela da soli.



La pantomima è servita

La pantomima è servita

Possiamo leggere nella Treccani: “La pantomima, ossia una rappresentazione scenica muta, nacque in Grecia e si diffuse a Roma a partire dalla fine del 1° sec. a. C.; in seguito si conservò come genere nel medioevo, ed è restata in uso, specialmente in Francia e in Inghilterra, e viene tuttora praticata in varie forme”. Ebbene, quella a cui stiamo assistendo in questi giorni, principalmente in Italialand, ma anche altrove, è l’applicazione pedissequa di tale rappresentazione a dir poco teatrale.

Da noi si esplica in forma di crisi di Governo, fatta “scoppiare” da Renzi. Pantomima messa in atto quando al bulletto di Rignano sull’Arno è stato detto di farla scoppiare. Infatti né lui, né alcun altro dei nostri politicanti può far nulla che non si voglia altrove. E così è arrivato il nuovo “messìa”, il “salvatore” della Patria, il “santo”: super Mario Draghi, classe 1947 (così ricorda più quel che è, ossia una sorta di videogioco).

Breve cronistoria di un “salvatore” della Patria

Non tutti ricordano con esattezza chi in realtà costui sia, anche perché il tam tam quotidiano di tutti i media indistintamente ne tesse le lodi sperticate, senza un commento negativo. In pratica il quadretto da teatrino che ne viene fuori è una santificazione ante-dipartita all’altro mondo, comprensiva di ricordi di perfetti sconosciuti o di gente più o meno nota (intervistata da sosia di comici del passato) che, per un motivo o per l’altro, aveva anche solo toccato il mantello del “santo”.

Al di là della sua innegabile competenza (anche perché sennò non sarebbe stato fatto arrivare alle cariche più alte dove è stato, nel corso degli anni, dalle élite finanziare che comandano il mondo), quel che si omette di dire è l’aspetto totalmente negativo della figura dell’uomo e dell’abile esperto economico-finanziario. A parte ciò che ne pensava quel gran maneggione della politica italiana che era Francesco Cossiga (‘o picconatore), il buon Mario, salvatore della Patria, era criticato anche dal ministro Paolo Savona (massone come lui, ma di loggia avversa alla sua e di Visco, altro ex Governatore di Banca d’Italia). Ma in questo caso si potrebbe dire che fossero gente “di parte”. Allora conviene far parlare i fatti, o per meglio dire i “misfatti” compiuti dall’ex capo della Banca Centrale Europea.  Ci si dimentica infatti, come per magia, che super Mario, ex allievo di Federico Caffé (che si starà rigirando nella tomba), economista di stampo keinesiano, misteriosamente scomparso nel 1987, ben presto aveva per così dire “dirazzato” dalle dottrine del maestro. Il nostro santone, infatti, dopo aver frequentato il MIT di Boston (1971) rientra in Italia dove, dopo alcuni incarichi universitari, nel 1983 diventa consigliere di Giovanni Goria, ministro del Tesoro nel governo Craxi. L’anno dopo, il nostro eroe inizia la sua carriera per così dire “internazionale” diventando direttore esecutivo della Banca Mondiale a Washington, carica che ricoprirà fino al 1990, e presidente del Comitato economico e finanziario dell’Unione Europea. Nel 1991 viene nominato  Direttore Generale del ministero del Tesoro, ruolo che ricoprirà per 10 anni, fino al 2001. Ed è proprio durante questo lungo incarico (voluto da Guido Carli, sarà confermato da Ciampi, Amato, Berlusconi, Dini, Prodi e d’Alema. Insomma tutta bella gente…) che promosse le privatizzazioni selvaggie delle aziende pubbliche italiane. Sempre per conto del nostro Paese fu il capo negoziatore che accettò i vincoli di bilancio del Trattato di Maastricht.

La crociera sul “Britannia”

C’è da notare che nel giugno del 1992 il “nostro” partecipò alla famosa crociera sul panfilo “Britannia” di sua maestà regina del Regno Unito (al secolo l’immarcescibile Elisabetta II). Non era il solo italiano presente. Con lui c’erano infatti Carlo Azelio Ciampi e Beniamino Andreatta, in seguito protagonisti del famoso divorzio tra Banca d’Italia e il Tesoro, oltre ad i vertici di Eni, Iri, Comit ed Ina.

Si partì così nel luglio 1993 con la vendita, o svendita, della prima tranche del gruppo SME, controllato dall’Iri. L’onore di aprire la strada toccò ai surgelati e ai dolci: Motta, Alemagna, Surgela più varie e molte altre eventuali. Se li aggiudicò tutti la svizzera Nestlè. Ci fu poi una frenata con il governo Berlusconi del ’94 (fino al ’96), per poi riprendere la galoppata delle svendite con i governi Prodi e D’Alema. Il gruppo IRI fu smembrato e messo in vendita: il ricavo immediato fu di 30mld di lire, lievitati poi però sino a 56mila e passa. Una cordata capitanata dagli Agnelli si aggiudicò Telecom. Ciampi, allora ministro del Tesoro, spiegò che serviva ad impedire che la Fiat fosse venduta all’americana General Motors. D’Alema, arrivato al governo alla fine del 1998 patrocinò il cedimento di Autostrade a Benetton, introducendo una delle principali specificità delle privatizzazioni all’italiana: la vendita allo stesso soggetto sia del servizio che delle infrastrutture, le autostrade e i caselli, Telecom e i cavi sui quali viaggia il segnale. Successivamente furono privatizzate quote di Enel ed Eni, passando per il disastro di Alitalia. Da allora il debito pubblico, anziché essere risanato come dicevano di voler fare, triplicò. Si perse oltre un milione di posti di lavoro e ci fu un agglomerato di privati che formarono veri e propri monopoli di mercato, di fatto affossando la libera impresa.

Nel 1998 infatti il “santo” aveva firmato il testo unico sulla finanza – noto anche come “Legge Draghi” (Decreto Legge del 24 febbraio 1998 n. 58, entrato in vigore nel luglio 1998) – che introdusse la normativa per l’OPA (Offerta Pubblica di Acquisto) e la scalata delle società quotate in borsa. Telecom Italia sarà la prima società oggetto di OPA, da parte dell’Olivetti di Roberto Colaninno, a iniziare l’epoca delle grandi privatizzazioni. A questa seguiranno appunto la liquidazione dell’IRI e le privatizzazioni di ENI, ENEL, Credito Italiano e Banca Commerciale Italiana di cui ho parlato prima.

Dal 2002 al 2005 il “salvatore della Patria” diventa vicepresidente per l’Europa di Goldman Sachs, quarta banca d’affari al mondo. Alla fine del 2005 viene nominato Governatore della Banca d’Italia, il primo con un mandato a termine di sei anni, rinnovabile una sola volta. Nel 2012 (il 24 giugno) viene ufficialmente “incoronato” Presidente della Banca Centrale Europea (BCE), mentre ad ottobre dell’anno prima aveva preso il suo posto in Banca d’Italia Ignazio Visco (di cui ho parlato prima).

La pantomima con i “cattivi” tedeschi

Proprio nel 2012 farà il discorso nel quale pronuncerà la famosa frase: «But there is another message I want to tell you. Within our mandate, the ECB is ready to do whatever it takes to preserve the Euro. And believe me, it will be enough», ossia «Ho un messaggio chiaro da darvi: nell’ambito del nostro mandato la BCE è pronta a fare tutto il necessario a preservare l’Euro. E credetemi: sarà abbastanza». Fu così che introdusse il cosiddetto quantitative easing (che vide la luce a partire dal 2015), immettendo in pratica liquidità comprando i titoli di Stato, fra cui quelli italiani, sul mercato secondario (la BCE non può fare acquisti diretti su quello primario). Grande scandalo, soprattutto nelle parole dei tedeschi, in primis quelle del capo della Deutsche Bundesbank Jens Weidmann. A questo proposito non c’è che dire: un bel balletto di dichiarazioni fra i due, secondo il mio modesto parere, di assoluta facciata. In realtà ad entrambi quel che premeva (e che preme tutt’ora) era solo una cosa: salvare l’Euro, ossia il metodo di comando in Europa. Il primo in quanto facente il gioco di chi l’Euro l’ha creato a questo scopo (la Finanza internazionale -leggi anglo-americana-, ossia i veri padroni del mondo), il secondo perché cosciente del fatto che la Germania, messa a guardia del continente dagli stessi di cui sopra, ha avuto solo che da guadagnare dalla moneta unica. Ho infatti già scritto altrove (secondo questo studio qui di cui ho scritto in “Ri-pensare l’Europa” e qui) come risulti evidente da ricerche, compiute peraltro dagli stessi tedeschi, come a guadagnare dall’Euro siano stati proprio loro, e a perderci siano state soprattutto l’economia e le famiglie italiane.

Ebbene, una volta portato a termine il suo compito di salvaguardia dello scettro del comando (l’Euro) il “salvatore della Patria” si è messo “in panchina”, o meglio direi sulla riva del fiume, aspettando che i tempi fossero maturi per ritornare in scena come fosse il “messia”. Ora, dopo la parentesi di Giuseppi, messo lì anche lui per preparargli il terreno, il momento è arrivato. Oggi il Governo, che finirà ciò che ha già iniziato, poi la presidenza della Repubblica.

Quel che è certo è che allo strapotere delle élite si sono piegati tutti, ivi compresi quelli che nei finti partiti di opposizione (leggi Lega o Fratelli d’Italia) sembravano essere le sole luci di speranza di una tenue resistenza. Mi riferisco in particolare ad Alberto Bagnai e Claudio Borghi (che casualmente sono nella Lega, ma che avrebbero potuto rappresentare gli interessi del nostro povero, disastrato Paese, ovunque avessero militato). Entrambi hanno, a mio parere, dovuto cedere agli interessi di partito. Per non parlare della Meloni che è entrata direttamente nell’Aspen Institute, al cui interno ci sono nomi come Romano Prodi, Giuliano Amato, Paolo Mieli e Mario Monti. Amen.

La sconfitta (o sarebbe meglio dire il furto perpetrato ai suoi danni) di Trump ha determinato da noi un governo Draghi, che è la resa incondizionata di un Paese alle élite finanziarie che tale nazione hanno portato alla rovina totale. Una guerra vera e propria (come la finta pandemia in corso), che rappresenta una seconda e, temo, definitiva Caporetto.

 

Lo stomaco e la propaganda

Lo stomaco e la propaganda

Al di là di finti assalti al Campidoglio (Cossiga insegna come ci si deve comportare in certi casi, per non parlare dei Servizi che entrano in scena in questi casi), quel che è successo e sta accadendo in queste ore negli USA è l’esatta fotografia di ciò che accade ovunque nel mondo oramai. Lì la gente che supporta Trump, ossia seppur inconsciamente una certa visione del mondo (non voglio nemmeno tornare sul fatto di come consideri il miliardario americano parte del sistema, seppure da  preferire fra le due) è ancora potuta scendere in piazza. Questo è ancora permesso qui in Germania (non so ancora per quanto), mentre è palesemente proibito e stigmatizzato da noi in Italia,  dove il gigantesco esperimento sociale ha ormai preso piede in modo irreversibile, anche grazie alla complicità del martellamento h24 dei media mainstream (praticamente tutti prezzolati). Il dissenso, oramai, è palesemente osteggiato in gran parte del mondo, supportato dalla finta emergenza della finta pandemia (non voglio nemmeno più tornare sulle cavolate del “negazionismo”, perché non è di quello che si tratta. Nessuno nega l’esistenza del virus né la sua maggiore capacità infettiva, bensì la sua presunta maggiore letalità rispetto ad altri virus, compresa la banale influenza stagionale, e la sua oramai incontestabile curabilità tramite normali e poco costosi farmaci, conosciuti da tempo). Finta pandemia anche perché al prossimo giro, se non verrà usato il Covid 19, sarà la volta del Covid 20, 21 o 22, o un’altra forma qualsiasi di minaccia sanitaria,  attraverso la quale si è capito che si possono ottenere risultati di controllo totale a livello planetario di gran lunga più rapidi e convincenti dell’utilizzo delle bombe.

La visione del mondo si sta lentamente staccando in due, al di là di chi pensa ancora (perché volutamente fuorviato da una narrativa di regime costruita ad hoc a cui ancora molti abboccano) che il mondo si divida tra “destra” e “sinistra”. Non capendo, evidentemente, che parlare di tale suddivisione non ha più il minimo senso. E questo è ormai chiaro anche ad un cieco, essendo venuta chiaramente alla luce la spaccatura tra un’élite ricchissima (i veri padroni del mondo, quelli della tecnocrazia finanziaria, ossia i massoni, di cui a loro volta fanno parte il potere ebraico (diviso a sua volta al suo interno in fazioni fra di loro contrastanti), la Chiesa e la Mafia (che rappresenta il braccio armato per i lavori “sporchi” non sotto copertura dei Servizi) e il resto dell’umanità.

Ebbene, tale “spaccatura” in due, dove le forze messe in campo sono palesemente sproporzionate e sbilanciate a favore dei primi rispetto ai di gran lunga più numerosi secondi, è paradossalmente un segno di speranza. Ritengo infatti che la caduta oramai pressoché palese di questo “velo di Maya” posato fino ad oggi sulla realtà proprio per nasconderla, possa alla fine risvegliare almeno parte delle coscienze fino ad oggi sopite a suon di telefonini, propaganda e paghette (leggi redditi di cittadinanza et similari) distribuiti a gogò dalle élite al popolino sottomesso. Staremo a vedere se sarà più forte la propaganda di una narrazione che non regge più o la forza della fame di uno stomaco vuoto di cibo e di speranza.

 

La museruola come stile di vita

La museruola come stile di vita

Un Paese devastato, nell’economia e nello spirito, nello Stato sociale e nella psicologia. Questo è ciò che  appare evidente ad uno spettatore che veda lo spettacolo a dir poco pietoso che ormai dà di sé l’Italia. Almeno se la si guarda non con gli occhi di un italiano che vive all’interno del Paese, quotidianamente bombardato da una propaganda dall’amaro sapore di regime che i mass media a tamburo battente amplificano ad ogni ora, bensì con quelli di un visitatore che conosca bene la nazione e che la osservi nei suoi giornalieri cambiamenti, quasi impercettibili se visti dall’interno.

 “Andrà tutto bene!”

All’inizio era il mantra “andrà tutto bene!” (slogan usato non solo in Italia. E questo dovrebbe far pensare…), e s’è visto che tutto bene non è affatto andato. Basta vedere la conta dei morti, reali o presunti (tutti morti per Covid, visto che per ogni morto di questo virus gli ospedali hanno preso 600 euro, contro i 300 per altri tipi di patologie). Anche questo slogan, creato ad hoc, è stato coniato con il tempo verbale coniugato al futuro. Così come tutti al futuro sono la miriade di slogan creati e lanciati praticamente ogni giorno dal “premier”, quel Giuseppi mai eletto da alcun cittadino italiano, sbucato apparentemente dal nulla e allevato all’arte della Politica con un corso accelerato tenuto da un alto diplomatico, ex Ambasciatore a Berlino, messogli alle calcagna dal PD a bella posta, affinché impratichisse l’inesperto “prescelto” a diventare un navigato imbonitore di folle, con slogan (per l’appunto) e luoghi comuni che facessero presa su un popolo di certo già avvezzo a seguire l’imbonitore di turno, in passato come nei giorni presenti. Se a questo ci aggiungiamo una martellante campagna mediatica messa su, anche questa ad hoc, da una miriade (pressoché la totalità) di compiacenti mass media nostrani, sempre pronti ad offrire il microfono al parvenu di turno e ad omaggiare l’imbonitore prescelto con elogi sperticati, degni di un De Gasperi o un Cavour (mi scuseranno entrambi per il paragone, mi rendo conto, a dir poco blasfemo), il quadro è quasi completo.

 

Una classe politica di inetti, nel migliore dei casi (leggi gran parte del M5S), e di servi del vero potere, quello che decide come debbano andare le cose (non solo da noi) rappresentato dal vero cancro politico-sociale del Paese, ossia il PD. Entrambi devono continuare a governare una nazione distrutta e resa prona, anche da un punto di vista economico, ad ogni costo. Per farlo stanno preparando tutta la narrativa sulla “seconda ondata del virus”, facendo uscire dati palesemente falsati non più, si badi bene, sul numero di morti che non sarebbe più credibile, bensì su quello dei contagiati, benché asintomatici e del tutto innocui per gli altri. Chi colpevolizzare questa volta? Ovvio, i giovani, coloro che hanno voglia di vivere e divertirsi, soprattutto d’estate. E allora ecco che si è ritirata fuori la vecchia terminologia della “movida“, come sinonimo di gozzovigliamento “colpevole”, ieri per attaccare Salvini, oggi per rendere untori quanti hanno voglia di vivere. Poi è arrivato il periodo scolastico. Quale migliore occasione per propagare il verbo del contagio? Una miriade di giovani (irresponsabili per antonomasia) che potrebbero rappresentare il veicolo ideale della diffusione di un virus che, a detta di fior di virologi (e non dal sottoscritto), è oramai scomparso, almeno nella sua versione primigenia. Quel che ne è rimasto è un virus oramai mutato (come tutti i virus, e in particolare quelli di questa tipologia) e con una carica virale bassissima. 

La scuola

 

 

La scuola dunque. Questa istituzione già a lungo massacrata nel nostro Paese, almeno da 30 anni a questa parte, è stata presa come piattaforma ideale dalla quale far partire i “missili” del contagio. Quale migliore ambiente di quello dove le giovani menti si formano per diventare i cittadini di domani, inculcandogli fin da piccole l’idea del distanziamento e dell’obbedienza cieca, quella non costruttiva, quella che non prevede il dubbio e il fare domande, oltre all’idea che il tuo vicino, il tuo compagno, il tuo amico, potrebbe costituire un potenziale pericolo, quindi come tale un nemico potenziale.
Gli adulti, già formati, non hanno la più pallida idea di quanto questo possa essere devastante sulla psiche di una giovanissima mente in formazione (soprattutto per quella dei più piccoli). Sono danni psicologici che ci si porterà dietro per sempre e che plasmeranno la personalità del futuro essere adulto. Tutto questo senza contare il danno fisico dell’indossare per 5 o 6 ore al giorno una mascherina dove tutti gli scarti del nostro organismo vanno a finire con il respiro, umido per giunta.

 

 

Per far digerire questo regime vero e proprio si è inscenata la buffonata degli oltre 2milioni di banchi con le rotelle (ideali autoscontro per i ragazzi), ordinati a ditte compiacenti, per il costo astronomico di oltre 300 euro a banco (da notare che sui siti cinesi online il costo si aggira dai 16 ai 68 euro circa). Per mantenere le “distanze di sicurezza” sarebbe bastato adottare il metodo usato in altre nazioni, disponendo i banchi già esistenti in modo intelligente, invece di buttarli.
A nessuno in Italialand sembra venire in mente di porsi due domande: primo, in una scuola dove mancano i docenti per seguire gli alunni, erano i banchi una priorità? Secondo: ma com’è possibile che fino a soli 6 mesi fa nelle scuole pubbliche italiane mancava perfino la carta igienica perché non c’erano soldi per comprarla, e oggi, come per magia si possano spendere milioni e milioni di euro per banchi di plastica? La stessa domanda ce se la si sarebbe dovuta porre riguardo agli ingenti mezzi (droni, quoad, elicotteri nuovi di zecca) usati dalle forze dell’ordine durante il periodo del lockdown per rincorrere poveri disgraziati che prendevano il sole isolati o facevano jogging sulle spiagge o mentre facevano il bagno da soli in mezzo al mare. Fino a pochi mesi prima lo Stato non aveva soldi nemmeno per mettere benzina nelle auto di pattuglia o per comprare divise nuove ai poliziotti. Da dove sono saltati “improvvisamente” fuori questi soldi? Mistero! (si fa per dire).
E non voglio parlare del casino che salterà fuori allorquando un ragazzo risultasse “positivo” al Covid: un autentico disastro per l’intera classe e scuola. E per i genitori coinvolti che dovranno rimanere a casa con i propri figli, distanziati da altri eventuali presenze nella casa (come?).

Parola d’ordine “negazionismo” 

 

 

“Le parole sono importanti”, diceva un incuffiato Nanni Moretti in “Palombella rossa”. E sempre nello stesso film rimarcava: “Chi parla male, pensa male e vive male“. E le parole sono usate come armi, tanto per colpevolizzare, come nel caso dei “contagiati asintomatici“, quanto per mettere all’indice, come nel caso dell’espressione “negazionista“, volutamente usata nei confronti di quanti pur non negando la presenza del virus ne contestano la presunta attuale pericolosità, manifestando i propri dubbi. Il termine “negazionista” è quanto di più infamante si potesse trovare per bollare quanti osano farsi domande e porre dubbi. Infatti il riferimento è voluto, in quanto associato a quanti negano che sia avvenuta la Shoah, ossia l’Olocausto degli ebrei da parte dei nazisti durante la Seconda guerra mondiale. Un espediente di bassa lega che qualifica chi utilizza in questo caso del tutto volutamente e impropriamente tale termine.
Ma le parole sono importanti anche per quello che si vorrebbe si tenesse fra le persone, ossia il cosiddetto distanziamentosociale” e non “fisico”, come sarebbe stato logico chiamarlo. Questo ovviamente non a caso, ma volutamente per rimarcare il fatto che gli individui debbano considerarsi come delle monadi, distanziate le une dalle altre, fisicamente e psicologicamente. La massa non deve esistere, perché anche involontariamente potrebbe fare resistenza. L’individuo isolato, invece, è maggiormente debole, e quindi controllabile, oltre che sanzionabile. 

Un’economia morta

 

 

Quel che rimane del Paese è un’economia disastrata, oltre ad un popolo prostrato dalla continua paura ingenerata da istituzioni e mass media (al loro servizio. Anche in questo caso fatevi due domande come mai non ci siano più voci “fuori dal coro” fra i vari giornali e trasmissioni televisive…). Una città come Roma (a puro titolo d’esempio), che vive di turismo e di servizi, è praticamente morta (-80 per cento di presenze turistiche quest’estate). Si continua a lavorare prevalentemente in “smart working” (che poi cos’abbia di così “intelligente” non si capisce proprio), così la gente non va all’abituale posto di lavoro. Questo comporta che non va a mangiare nelle vicinanze dell’ufficio (come faceva prima) e non va a comprare nei negozi sempre limitrofi, con conseguenze economiche disastrose per questi ultimi. Inoltre lavorare in “smart working” comporta il fatto che voi non siate necessari all’azienda o all’ufficio in presenza fisica nel luogo in cui l’azienda risiede. Chi vi dice che domani l’azienda non si rivolga per fare il vostro lavoro a qualcuno, chessò, in India e che gli costa la metà di voi? Già molte aziende hanno ridotto di fatto la paga mensile tagliando l’erogazione dei cosiddetti “buoni pasto” (che nella stragrande maggioranza dei casi sono parte integrante dello stipendio).
Il Governicchio dell’annuncite declinata al futuro tira a campare, prolungando le cassa-integrazioni fino a gennaio. Secondo i dati dell’Istat finora l'”emergenza Covid” è costata, rispetto al secondo trimestre 2019, 841mila posti di lavoro (-3,6% in un anno). E questo è solo l’inizio. Purtroppo con l’inverno il tracollo economico sarà evidente in tutta la sua portata.
Non mi soffermo qui sul Recovery Fuffa e sul Mes.

 

Un’ultima chicca: lo sapevate che nessuno fino ad oggi ha isolato il Covid-19? In pratica i tamponi effettuati vengono fatti sulla base del fatto che si possa avere una parte di sequenza di uno dei virus Corona (ma non il Covid-19- Sars Cov2) di cui il nostro corpo è ospite abituale. Quindi quando risultate “positivi” vuol dire che hanno trovato una parte soltanto della catena dell’RNA (in 150millilitri di “surnatante“, ci sono circa 30miliardi di molecole simil-virali). In pratica vi dicono di essere “positivi” al Covid-19, mentre hanno semplicemente trovato una parte della catena di uno dei tanti Corona virus.
Per il momento non vi può che salvare l’uso della museruola, ehm… della mascherina, e la speranza che un vaccino salvifico (solo quello di Bill Gates, s’intende) potrà rendervi liberi. Da cosa non si è ben capito, visto che il virus muta in continuazione e che un vaccino per essere efficace deve essere testato minimo per due/tre anni. Ma tant’è, ve lo dice la Sciiiienzaaa. Quella con la “s” maiuscola, s’intende. Tipo OMS, per capirci.


Buon Covid a tutti. E che qualcuno ci aiuti (Dio, se siete credenti). E non dimenticate di salutarvi con la mano sul cuore, non con il gomito, incoscienti! (qui sotto troverete il modo corretto di salutarvi e relativa punizione se non lo farete bene. Ve lo metto così, per agevolarvi. Visto che non capite!)

 

 
 

 

 

 

In ricordo di due geni

In ricordo di due geni

Il 28 luglio è una data importante per l’umanità. Infatti, a distanza di 9 anni, nel 1741 a Vienna il primo, e nel 1750 a Lipsia il secondo, morirono due dei più grandi geni assoluti della musica: Antonio Vivaldi e Johann Sebastian Bach.
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Antonio Vivaldi

 

© Youtube La Voz por Excelencia
Antonio Vivaldi era nato 63 anni prima, nel 1678, a Venezia, dove studiò musica grazie al padre, Giovanni Battista, barbiere e violinista nella Cappella di S. Marco. Alcuni sostengono che suo vero insegnante fosse Giovanni Legrenzi, maestro di cappella a San Marco, ma di questo non si hanno notizie certe. Era comunque talentuoso tanto che a soli dieci anni sostituiva occasionalmente il padre nell’orchestra. La sua era una famiglia numerosa (era il maggiore di 6 fratelli) e poco agiata, pertanto studiò in seminario e nel 1703 fu ordinato sacerdote, guadagnandosi il soprannome di Prete Rossoper il colore dei suoi capelli. Era da sempre stato malato (probabilmente soffriva d’asma) tanto che nell’atto di battesimo si riportò che “hebbe l’acqua in casa per pericolo di morte dalla Comare allevatrice”. Proprio a causa della salute malferma, ottenne presto la dispensa dall’esercizio sacerdotale e poté così dedicarsi interamente alla musica, per la sua e per la nostra fortuna, verrebbe da dire. I suoi concerti venivano dati in differenti chiese veneziane, dove egli stesso si esibiva come virtuoso del violino impressionando i testimoni dell’epoca.
 
© Youtube sgarboo1
Nel 1708, durante il carnevale, venne dato alla Pietà un concerto di musica sacra in onore del re di Danimarca, Federico IV. Fu così che la sua fama travalicò i confini italiani. Nel 1711 venne pubblicato ad Amsterdam L’estro armonico, op. 3, una raccolta di dodici concerti per violino. Fu di tale successo che l’altro nostro autore, Bach, ne trascrisse una parte per tastiera.
Dal 1717 Vivaldi iniziò a lasciare la natia Venezia e a viaggiare. Prima ricoprì l’incarico di maestro di cappella presso la residenza del principe Filippo di Hesse-Darmstadt a Mantova, città nella quale soggiornò dal 1719 al 1722, poi dopo un breve ritorno di tre anni nella Laguna, ripartì alla volta delle maggiori corti europee. Tra il 1722 e il 1725 si recò a Roma, dove suonò per il Papa (Benedetto XIII), per poi tornare a Venezia dove compose diversi concerti di cui il lavoro più famoso sono “Le quattro stagioni” (che fanno parte del Il Cimento dell’Armonia e dell’ Invenzione). Seguì un decennio costellato di viaggi a Mantova (1726), Trieste (1728), in Germania (1729), a Praga (1730), a Verona (1731), ancora Mantova (1732) e Vienna (1733). Tornò a Venezia e nell’estate del 1740 Vivaldi decise di lasciare la sua città. Dopo un passaggio a Dresda, dove suonò i famosi “Concerti di Dresda”, si trasferì a Vienna, città nella quale sperava di ritrovare la fama che pian piano era andata scemando.
 
© Youtube Luis Peres
Ma non fu così. Morì per una “infiammazione interna”, il 28 luglio 1741, solo e indigente. A Vienna fu seppellito in cimitero di un ospedale per poveri che oggi non esiste più. Oltre alle 73 sonate, Vivaldi compose 223 concerti per violino e orchestra, 22 per due violini, 27 per violoncello, 39 per fagotto, 13 per oboe e molti altri per flauto, viola d’amore, liuto, tiorba e mandolino.
Si era ispirato ad altri maestri, come Corelli, Torelli e Albinoni, e fu a sua volta la base per lo sviluppo del concerto solista del periodo classico di Mozart e Beethoven. La sua musica (oltre 760 composizioni), proprio perché così innovativa ed inusuale, cadde ben presto nell’oblio. Fu solo grazie alla riscoperta ottocentesca di Bach che il nome di Vivaldi iniziò a circolare come compositore, da quando cioè i musicologi tedeschi scoprirono che il compositore di Eisenach aveva ripreso le melodie da un gran numero di concerti, circa una ventina, di quello di Venezia.
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A. Vivaldi, Nulla in mundo pax sincera – Emma Kirkby
 

 
© Youtube Kate Price
 

 

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Johann Sebastian Bach

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© Youtube Ahmed Barod
Johann Sebastian Bach, come dicevamo poc’anzi, era nato nel 1685 (soli 7 anni dopo Vivaldi) ad Eisenach, una cittadina extra-circondariale della Turingia (all’epoca ancora Sacro Romano Impero). La sua era una famiglia di musicisti e apprese i primi rudimenti della musica dal padre, Johann Ambrosius, musicista civico (Stadtpfeifer).
Johann era il minore di 7 figli e dopo la morte di entrambi i genitori a distanza di 8 mesi l’una dall’altro, nel 1694, si trasferì dal fratello Johann Christoph, organista ad Ohrdruf, che gli fece conoscere la musica di Pachelbel, Lully, Marchand, e Buxtehude, e dove continuò a studiare organo e clavicembalo. Nel 1699 si trasferì a Lüneburg, in Bassa Sassonia, dove grazie ad una borsa di studio si perfezionò nei due strumenti a tastiera e probabilmente imparò italiano e francese. Nel 1703 divenne musicista di corte a Weimar, in Turingia e nel 1706 divenne organista a Mühlhausen, dove sposò sua cugina Maria Barbara Bach. Due anni dopo si trasferì a Weimar, dove ricevette l’incarico di organista di corte e maestro di concerto di Guglielmo Ernesto, duca di Sassonia-Weimar. Fu in questo periodo che compose la maggior parte del suo vasto repertorio di fughe, il cui esempio più famoso è “Il clavicembalo ben temperato” (48 fra preludi e fughe).
 

© Youtube BachHarmony
Tuttavia i rapporti con il duca si deteriorarono a tal punto che Bach fu anche arrestato per qualche settimana. Si trasferì quindi a Cöthen, in Sassonia Anhalt, presso la corte del principe Leopoldo, dove prese servizio come maestro di cappella, o piuttosto, direttore di musica da camera. Fu in questo periodo che scrisse i “Concerti brandeburghesi” e molta parte della sua musica strumentale (tra cui le suite per violoncello solo, le sonate e partite per violino solo, la partita per flauto solo e le suite per orchestra). Nel 1720 rimase vedovo (la cugina gli aveva già dato 7 figli) e sposò l’anno dopo Anna Magdalena Wilcke, una giovane musicista di soli 20 anni.
 

© Youtube Michael Armstrong
Nel 1723, dopo il trasferimento di Georg Philipp Telemann ad Amburgo, ottenne il posto di organista e cantor (doveva anche insegnare) a Lipsia. Nella città sassone Bach rimase per oltre 20 anni (1723-1750) e in virtù del suo incarico fu costretto a scrivere cantate e oratori quasi ogni settimana. Sono di questo periodo opere del calibro delle due Passioni (secondo Matteo e secondo Giovanni), i tre oratori (di Natale, del Venerdì santo e di Pasqua), il Magnificat, la Messa in si minore e le famosissime Variazioni Goldberg (dal nome del suo allievo Johann Gottlieb Goldberg). Nel 1747 compose l’Offerta musicale per Federico II di Prussia e l’Arte della Fuga. Nell’ultimo anno della sua vita perse l’uso della vista (probabilmente soffriva di glaucoma). La riacquistò per pochissime ore, a seguito dei postumi di un intervento sbagliato fatto da un oculista inglese, ma poco dopo venne colpito da un ictus. Morì pochi giorni dopo, la sera del 28 luglio 1750. Era un piccolo compositore di provincia. Lasciò 20 figli e un patrimonio materiale di 1.159 talleri*. All’umanità quello musicale, che è immenso ed inestimabile.
  • Il guadagno annuale di un mastro artigiano era tra i 200 e i 600 talleri.
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J.S. Bach Concerto for Oboe and Orchestra, BWV 1059, II. Largo – Aria Heinz Holliger, Academy of St Martin in the Fields Chamber Orchestra
 

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J.S. Bach – Partita n° 1 in Si bem. magg. BWV 825 Grigory Sokolov
 

 
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Delphine Galou, Erbarme dich, mein Gott, dalla Passione secondo Matteo BWV 244
 

 
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I padroni delle Ferriere

I padroni delle Ferriere

Ta daaa! E dopo 3 giorni rieccomi a voi! (su Facebook) Purtroppo, diranno le malelingue, ma fate attenzione che il Signore vi vede, e non sia mai che decida di punirvi per la vostra insolenza… così come ha deciso di fare FacciaLibro con il sottoscritto.
Cos’è accaduto? Dunque, per quelli che in fondo in fondo (ma molto molto in fondo) mi vogliono bene sono stato bannato per aver osato, per la terza volta da un annetto a questa parte, “violare” le sacre “regole” (i cui criteri conoscono solo loro) di anti fake news del nostro ospite (nel senso di ospitante, in questo caso). Quanto è meravigliosa la lingua italiana! (Letteraria e poetica). Dico sul serio.  Ma non divaghiamo.
Dunque, come dicevo, per la terza volta (le altre due era sempre per due cavolate) hanno deciso che sono un pericoloso spargitore di notizie false e infondate  e  per questo andavo “punito” con il non permettermi di commentare, mettere like, o, soprattutto, postare qualsivoglia contenuto da parte mia. L’oggetto in questione lo trovate al seguente indirizzo di quest’altra piattaforma dove sono iscritto e dove ho deliberatamente lasciato visibile il post incriminato:
https://vk.com/wall562785996_5

Come potrete vedere da soli si tratta di uno screenshot fatto alla pagina di un Tg di Sky (in lingua inglese, ma facilmente comprensibile anche a chi non la conosce). Tale post era evidentemente ironico, visto anche lo “stato d’animo” che vi avevo aggiunto, ma l’algoritmo censorio di FacciaLibro è stato inesorabile, e zac! Mi ha tagliato le pudenda. Ovviamente a nulla è valso il fatto che accettassi la loro decisione (le altre volte, pur essendomi opposto, il risultato era stato identico,  seppur per sole 24 ore). E sono stati buoni e caritatevoli, perché oltre ad avvertirmi che la prossima volta di giorni me ne daranno 7, come la galera (ah, se potessero!), mi hanno anche scritto che sono stati compassionevoli non cancellandomi del tutto l’account.
Lo screenshot lo trovate qui: https://vk.com/wall562785996_6
Dunque, perché vi metto a parte di tutto questo? Semplicemente per farvi meditare sul fatto a chi stiano in mano i mezzi di comunicazione che utilizziamo quotidianamente.
Direte: “Eh, ma li utilizzi gratuitamente ed hai accettato implicitamente le loro condizioni nel momento in cui hai sottoscritto quello che è un vero e proprio contratto quando ti sei iscritto…”. Vero! Ma ci sono, proprio per questa ragione, due piccoli particolari. Il primo è che questi grandi colossi dell’informazione (per lo più americani) fanno transitare solo le notizie che vogliono loro sulle loro pagine,  arrogadosi così un diritto di censura  circa cosa non è loro gradito (lo ha fatto anche Twitter con Trump. Solo che quest’ultimo ha avuto il potere, che un semplice utente non ha, di rispondergli per le rime modificando la legislazione locale in merito). Quel che da un punto di vista giuridico non torna è che loro affermano di essere “solo” dei “contenitori” e non degli editori (che, in quel caso, avrebbero sì diritto di censura). Se fossero tali dovrebbero pagare gli utenti per i contenuti che pubblicano, e di cui si appropriano i diritti d’autore non pagando per questi ultimi. Come semplici “contenitori” tale diritto di censura non dovrebbero a nessun titolo esercitarlo. Neanche se questo fosse previsto dalla legislazione dello Stato in cui sono presenti gli utenti (che come tali sono legalmente responsabili davanti alle pubbliche autorità del luogo in cui vivono). In questo modo, invece, si erigono a “sceriffi” della loro (che entità statali pubbliche non sono) di legge, del tutto privata. E ripeto,  a questo punto dovrebbero pagare per i contenuti gli utenti, e le tasse per i profitti derivanti dalla pubblicazione  degli stessi agli Stati sul cui territorio “virtuale” operano (cosa quest’ultima che, come ben si sa, non avviene).
Il secondo, ma per questo non meno importante, punto della questione è che episodi come il mio, o come quello della recente chiusura dell’account di YouTube di “Radio radio” (con accuse assurde di diffusione di contenuti pedo-pornografici, poi ritirate con riapertura del canale medesimo a seguito delle proteste degli utenti e della minaccia di querela per diffamazione da parte della radio stessa) fanno meditare circa il fatto che l’informazione pubblica, soprattutto quella per così dire “virtuale” della Rete, passa praticamente tutta attraverso i rubinetti di società, o per meglio dire colossi  dell’informazione PRIVATI (il fatturato annuo di Google, solo per fare un esempio, è di gran lunga superiore al PIL dei Paesi Bassi). Se domani decidessero di bloccare le poche voci libere e dissenzienti rispetto al mainstream (cosa che già stanno da più parti applicando) chi potrebbe contrapporglisi? Non di certo noi, semplici utenti singoli. E cos’è questa se non una forma neanche tanto velata di dittatura alla “grande fratello”?

Meditate gente, meditate. 

La messa cantata del neo-liberismo

La messa cantata del neo-liberismo

Un’immagine, alle volte, è più esplicativa di mille parole. E proprio l’immagine di una riunione (nonostante le restrizioni dovute all'”epidemia” di Coronavirus) tenutasi, purtroppo, nella mia città natale, Roma, la città “eterna” (lo sarà ancora a lungo? Speriamo!), di una massa considerevole di decerebrati, ops, pardon, volevo dire giovani benintenzionati, mi ha ispirato questo post.
L’immagine in questione, o meglio il filmato, è quello che trovate qui in calce dove, appunto a piazza del Popolo, migliaia di giovani si sono “spintaneamente” radunati per gridare il loro sdegno per quanto accaduto a George Perry Floyd, uomo di colore (quale?), come si usa dire al giorno d’oggi (perché nero, o peggio ancora negro – termine derivante dal latino nĭger – sembra che sia diventato politicamente “non corretto” da utilizzare), ucciso da un poliziotto, anche questo di colore (bianco. In questo caso il colore non è offensivo), nella città statunitense di Minneapolis, in Minnesota. Con questa ironica (s’era capito?) distinzione non intendo dire che non vi sia discriminazione razziale (in questo caso il termine razza lo si può usare, secondo i benpensanti), ma che un criminale è tale a prescindere dal colore della pelle.

C’era una volta l’uomo nero
Il punto è proprio questo: la discriminazione razziale c’era anche ai tempi del tanto venerato Barach Obama, il Presidente “democratico”, quello del Premio Nobel per la pace per capirci (il fatto che, dopo aver ricevuto il riconoscimento internazionale, abbia fatto ben 7 guerre in giro per il mondo è del tutto marginale, s’intende). Omicidi da parte di bianchi, poliziotti o no, nei confronti dei neri ce n’erano in abbondanza anche allora (come ce ne sono stati praticamente da sempre nella storia degli Stati Uniti e non solo). Anzi, se volessimo fare una conta dei morti, il picco si registrò nel 2015, quando a capo della Casa Bianca c’era il “nero” Obama. A questo aggiungiamoci il fatto che il sindaco di Minneapolis, il 38enne (dato questo importante) Jacob Frey, è di parte democratica, come si evince bene anche da questa evocativa immagine (sempre il potere che le immagini suscitano), esplicativa del suo endorsement (come dicono le persone colte) per quell’agnellino di Hillary Clinton. Ebbene, il giovane (fino ai 40 si è giovani oramai) pollo d’allevamento, ops, scusate, il giovane brillante politico, in prima battuta aveva deciso solo di licenziare i colpevoli dell’omicidio, senza processarli per tale reato. Solo quando si è sollevata la protesta da mezzo mondo ha “prontamente” messo rimedio a questo disguido. Ma si sa, la notte porta consiglio.
Ora, quello che è passato, complici soprattutto i mass media americani (e non), è che il cattivone, colpevole di questo ennesimo atto di violenza della polizia (a questo proposito ci sarebbe da sottolineare che ci sono altrettanti, anzi di più, atti di violenza compiuti da neri su bianchi, poliziotti e non), come ovvio è stato Donald Trump. #hastatotrump, per dirla in termini moderni. Inoltre, come per magia, allorquando sono scoppiate le rivolte in tutto il Paese e nel resto del mondo (evidentemente ci sono stati episodi analoghi in ogni nazione dell’orbe terracqueo), si sono visti poliziotti preparare pietre lungo il percorso dei “manifestanti” che, spintaneamente, sono scesi in strada per testimoniare il loro sdegno per la morte di Floyd brandendo lo slogan  #BlackLivesMatter.

Le nuove crociate

Negli Stati Uniti è in corso una, neppure tanto velata, guerra civile, con tanto di coprifuoco e guardia nazionale in campo. Intere città sono state messe a ferro e fuoco da orde di manifestanti, la cui furia si è manifestata anche con un rigurgito di iconoclastia, insozzando o distruggendo statue di personaggi storici, a torto o a ragione, considerati “colpevoli” di essere stati in qualche modo coinvolti con la segregazione razziale o di averla quantomeno indirettamente favorita. Fra le illustri vittime si annoverano anche Cristoforo Colombo e Ghandi, notoriamente quest’ultimo colpevole di aver discriminato le truppe di sua Maestà britannica nel suo Paese, la ricca (per gli autoctoni, ovviamente) India. È scoppiata una furia di stampo talebano, dove le vittime sono non solo le statue o i simboli, ma anche le persone. Episodi di follia collettiva, assalto ai negozi e ai negozianti, e una serie varia di atti di violenza pura gratuita girano in rete, filmati un po’ ovunque. Sembra di vivere in uno di quei film tipo “1997: fuga da New York”.
Tutto sommato, a ben pensarci, in tempo di Coronavirus, chi avrebbe tutto l’interesse di aggravare la già precaria situazione? Ovvio, non di certo Donald Trump, che vorrebbe essere rieletto il prossimo novembre. E allora? E allora potrebbe venire il dubbio che siano i suoi avversari, formati ovviamente dai “Democratici” (mai nome fu più sviante dalla realtà) e da parte dei Repubblicani, i cosiddetti falchi del “deep State” che con i primi hanno diversi obiettivi in comune. Il biondo Donald, sarà pure uno sporco affarista, ma non è uno stupido come lo dipingono. Non è manovrabile e non è possibile farlo fuori con mezzi “leciti”, minacciandogli le aziende, come fu fatto in Italia con quella mezza calzetta di Berlusconi. E allora come si fa? Ma ovvio! Si mette su una bella “rivoluzione” colorata, dopo che si è provato inutilmente per 4 anni a farlo fuori dipingendolo come il diavolo in persona tramite i mass media, completamente venduti (ecco alcuni esempi: qui, qui e qui) eccezion fatta per la Fox che sta dalla sua di parte. In questo caso non d’arancione, ma di nero è colorata la rivolta. Il malcontento, più che giusto della comunità nera già c’è, quindi versare benzina sul fuoco è un gioco da ragazzi. Un po’ come il famoso terrorismo islamico (che guarda caso è un po’ che non salta fuori con qualche attentatuccio da qualche parte nel mondo), messo su come messinscena dai servizi segreti di mezzo mondo, fomentando qualche “povero” invasato che poi, guarda tu sempre il caso, regolarmente viene fatto fuori dalle efficientissime forze d’intervento (che prima avevano, ma guarda tu sempre la casualità, fatto acqua da tutte le parti, tanto da non prevedere l’attentato).

Utili idioti di tutto il mondo, unitevi!

Ma lo stigma negativo affibiato a Trump (che sottolineo, a scanso di equivoci, non riscuote le mie simpatie in quanto affarista, con tutto quello che ne consegue) deve travalicare i confini degli USA. Così movimenti di protesta simili a quelli statunitensi si sono “magicamente” espansi in tutto il mondo. Sono stati arruolati per primi gli “utili idioti”, allevati dal sistema nel corso degli ultimi 30/40 anni, come ho scritto ne “L’altra faccia della Luna“. Quindi, istigati dai mass media, si sono mossi i vari movimenti, soprattutto giovanili, che sono scesi in piazza con slogan e canti contro l’odiato dittatore. La furia iconoclasta ha colpito le principali capitali mondiali, distruggendo e insozzando quelli che sono stati indicati come simboli (che stavano lì da decine di anni, se non secoli) della discriminazione e dell’oppressione. In nome di questa “necessaria” liberazione da tali simbologie si sono messe in atto devastazioni e violenze varie (anche omicidi, sempre in nome della libertà, s’intende).
E arriviamo dunque a noi, il laboratorio sociale per eccellenza in Europa, assieme a Svezia e alla città di Berlino. Come si evince dal filmato di cui parlavo all’inizio, sono state mobilitate le “truppe cammellate”, in prevalenza giovanili, che gravitano attorno a quella che ancora viene spacciata per “sinistra”, ma che altro non è che la gentaglia di appoggio creata appositamente dal grande Capitale internazionale per operare nel nostro disgraziato Paese. Della Sinistra storica non hanno proprio più un bel niente, se non negli slogan sbiaditi e nei titoli dei giornaloni italiani (tutti allineati, s’intende. Ci mancherebbe pure che non fosse così!). Così come la “Destra” storica non esiste più.
Ebbene sono scesi in piazza, in tutta Italia. Soprattutto Bologna è un laboratorio perfetto per testare questo tipo di movimenti “spintanei”. Non scordiamoci che è la città dove abita e opera Romano Prodi, artefice della svendita del patrimonio economico italiano assieme ad altri personaggetti come Beniamino Andreatta ed altri ancora, considerati quest’oggi “padri della Patria”. L’ex Presidente della Commissione Europea (1999-2004) nonché fondatore di Nomisma, società di consulenza e ricerche di mercato dove il Capitale italiano forma i giovani rampolli che serviranno a rimpiazzare i vari “Cottarelli & Co.” nel prossimo futuro. Insomma un crogiolo dove far crescere le “nuove” tendenze per influenzare i giovani (su come sia stata destrutturalizzata la Scuola ho già parlato sempre in “L’altra faccia della Luna”).
E infatti dove sono nate le “Sardine”? Ma a Bologna, ovviamente! Poi si sono “espanse” un po’ ovunque, anche fuori dei confini patrii. A Berlino, ad esempio, ce n’è una rappresentanza (sparuta, a dire il vero), ma che ricalca lo stesso cliché di quelle italiane. Le idee sono le stesse e si muovono in rete, soprattutto sui vari gruppi Facebook presenti in Germania e nella Capitale in particolare. Lo scorso 14 giugno, in concomitanza con una ben più grande manifestazione organizzata da circa 130 gruppi per “non permettere che i diritti umani, la giustizia sociale e la giustizia climatica siano messi l’uno contro l’altro”, sotto il motto #SoGehtSolidarisch e formando una catena umana ideale lungo diversi km nella città, le Sardine berlinesi si sono mobilitate per manifestare anche loro lo sdegno nei confronti di quanto accaduto a Floyd. Purtroppo però a Berlino c’erano circa 28 gradi e si sa, più che i principi poté la voglia di fare il bagnetto in qualche lago nei dintorni e dei circa 2mila e 100 membri iscritti al gruppo c’erano (evidentemente in rappresentanza) appena una ventina di eroici protestatori. Ma va apprezzato lo sforzo. Un po’ meno la capacità critica dei nostri connazionali e di tutti gli altri giovani (anche quelli della manifestazione principale #Unteilbar erano per più dell’80 per cento sulla ventina o poco più). Sono una generazione che non è più abituata a pensare con il proprio di cervello e, come spugne, assorbono ciò che gli viene propinato in Rete o tramite il tam tam collettivo ripetendolo con slogan e modalità anch’essi preparati per loro ad hoc.
Coronavirus o meno mala tempora currunt, come dicevano i Romani e il redde rationem sembra essere sempre più vicino. Molto più di quanto noi tutti ci aspettiamo, temo.


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